Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani (Foto LaPresse)

Rossi, D'Alema, Emiliano e Bersani. Cosa vogliono quelli a sinistra di Renzi

David Allegranti

L'album delle figurine degli avversari dell'ex premier all'interno del Pd è piuttosto nutrito. Dal governatore ex "renziano" della Toscana a Speranza che continua a chiedere di togliere "i capilista bloccati"

Roma. Enrico Rossi? “Essendo un presidente di Regione, sarebbe meglio che usasse un linguaggio diverso e che pensasse anche ad altro: per esempio a spendere di meno in comunicazione e di più per il sociale”. Dario Parrini, deputato e segretario del Pd toscano, stronca così Rossi, eterno candidato al congresso che recentemente ha alzato i toni contro Matteo Renzi. In due interviste, una a La Stampa e l’altra al Fatto Quotidiano, il governatore toscano – “comunista pisano”, come lo chiama con penna divertita Tommaso Ciuffoletti – ha rotto definitivamente con l’ex premier.

 

Fra i due pareva che ci fosse una sorta di patto sottaciuto, non ostentato, per la segreteria del Pd, secondo il seguente schema: Renzi candidato naturale, Rossi candidato indipendente, utile alla causa del renzismo perché in grado di rompere il blocco di voti a sinistra di Bersani & co. Qualcosa però s’è sfasciato. “La parentesi autonoma di Rossi è finita sabato. Rossi da sabato – dice Parrini al Foglio – è tornato a prendere ordini da D’Alema, come del resto ha fatto per quasi tutta la sua vita politica, da quando era sindaco di Pontedera negli anni ’90 fino alla rottura con lui nell’estate 2014”.

 

Un paio d’anni fa, fra Rossi e Renzi nacque una tregua politica che consentì al governatore di essere ricandidato alla Regione nel 2015 senza passare dalle primarie. Se l’ex sindaco di Pontedera non avesse accettato la rieducazione rignanese, i renziani avrebbero imposto le primarie, candidando magari Stefania Saccardi, oggi potente vicepresidente della giunta regionale toscana. E d’altronde Rossi aveva con Renzi un debito non da poco; la prima volta che si candidò alla Regione nel 2010, sempre senza primarie, lo fece agilmente grazie all’ex sindaco di Firenze, che in un’intervista silurò uno degli aspiranti avversari, Federico Gelli, oggi deputato renziano, dicendo che Rossi sarebbe stato l’uomo giusto.

 

Lui via via si è guadagnato, da sinistra, l’epiteto di “renziano” (che da quelle parti è pressoché un insulto, un po’ come per Rossi lo è “blairiano”) e come ha poi notato Stefano Fassina, chiedendo a Rossi di essere coerente con quanto detto negli ultimi mesi per non dire anni, il presidente della Regione Toscana è “sempre con lui (Renzi, ndr): JobsAct, scuola, Italicum e Senato, tagli a Sanità”. Oggi le asperità antirenziane sono molto pronunciate: “A me dà noia lui, la sua velocità senza costrutto, senza pensiero”, ha detto ieri Rossi in un’intervista al Fatto Quotidiano.

 

Ma i fronti aperti nel Pd per Renzi sono molti, non c’è solo Rossi. L’album di figurine degli avversari è nutrito, variegato. Gli obiettivi, pure, paiono essere diversi. Massimo D’Alema, che già ha distrutto Prodi, abbattuto Veltroni e sabotato Bersani, vuole spodestare definitivamente il leader del Pd. Annuncia scissioni, nuove Cose de sinistra, muove pedine. Michele Emiliano, governatore della Puglia, s’atteggia a macroleader, dismettendo i panni del micronotabile del Mezzogiorno, un po’ caudillo un po’ Sanders con patate e cozze, ed è la rappresentazione dei problemi del renzismo in quelle regioni, dove non ha mai attecchito. Poi ci sono Bersani e Roberto Speranza, che si dividono fra la difesa della “Ditta” e il timore di essere bruciati a sinistra. Ma, soprattutto, hanno paura che Renzi li voglia lasciare fuori dalle liste elettorali. Speranza dice al Corriere che i “capilista bloccati vanno eliminati subito”. E, per far capire quanto ci tiene, ripete il concetto altre due volte in altrettante risposte: “Per non avere mai più un Parlamento di nominati ci sono due strade. Si possono fare i collegi uninominali, o togliere i capilista bloccati”. “Posti non ne vogliamo. Chiediamo che i capilista bloccati vengano tolti”. La paura di restare fuori dal Palazzo si porta via la Speranza.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.