Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il paese è per vecchi e la televisione pure. Ma tocca saperla fare bene

Maurizio Crippa
Se c’è una cosa che il big fight fra Matteo e Ciriaco su La7 ha dimostrato è che la televisione s’addice ai vecchi, ci vuole la scorza dura. Sarà anche per questo che il ricambio generazionale della nuova Rai di Alessandro Campo Dall’Orto fatica un pochetto ad attecchire. Perché ci vuole orecchio, come cantava un altro grande vecchio, Giovanni Minoli.

Se l’Italia fosse soltanto un paese per vecchi, ma non lo è, sarebbe più semplice da spiegare. Se la partita sul referendum fosse soltanto uno scontro generazionale, ma non lo è, sarebbe meno difficile da decifrare. Di generazionale, o forse per vecchi, in Italia c’è soltanto una cosa: la televisione. Non soltanto quella generalista: la popolazione italiana sotto i trent’anni (si è “giovani”, almeno fino a 29?) la televisione non la guarda proprio più. Quando dieci giorni fa Matteo Renzi (41) ha sfidato Ciriaco De Mita (88) sul ring di Enrico Mentana (61) sono stati quindici round tirati, a farsi male, non proprio come la terza sfida fra Muhammad Ali e Joe Frazier a Manila, ma era parecchio tempo che non si vedeva una scazzottata così. Uno dei due ha vinto ai punti (per KO in tv ormai si vince solo ai talent), ma le opposte tifoserie non si sono ancora messe d’accordo su quale dei due abbia vinto: to close to call, aspettano il 4 dicembre. Ma se c’è una cosa che il big fight fra Matteo e Ciriaco ha dimostrato è che la televisione s’addice ai vecchi, ci vuole la scorza dura. Sarà anche per questo che il ricambio generazionale della nuova Rai di Alessandro Campo Dall’Orto fatica un pochetto ad attecchire. Perché ci vuole orecchio, come cantava un altro grande vecchio. Giovanni Minoli (71) è uno che ha un orecchio televisivo come quasi nessun altro dei televisivi in attività.

 



 

Domenica sera il suo ritorno in video, il “Faccia a faccia” con Renzi su La7, è stato un bel ritorno. Siccome l’uomo è tignoso, ed egocentrico la sua parte, a chi ha provato a contestare il suo milione e cento di spettatori e il suo 4,1 di share ha spiegato che a quell’ora, di domenica, contro Fazio e “Braccialetti rossi” – la fiction Rai “giovani, malati e innamorati” – e dopo un weekend di Leopolda che aveva prosciugato i maroni anche a Filippo Sensi (forse), era un gran risultato. Perché la questione è questa: bisogna sapere cos’è, e come farla, la televisione in un paese per vecchi. Il format di Minoli è sempre lo stesso, in questi casi si dice che l’uomo è il format, insomma quello di “Mixer” e dei suoi fratelli. La chiave, oltre all’impianto giornalistico e al resto, è il ritmo, la velocità. Minoli sa che in tv il tempo è tutto, il ping-pong tra domanda e risposta vale – per lo spettatore generalista – più delle parole. Le domande lunge e l’indugiare sul proprio punto di vista, come va di moda adesso, stancano. Alla fine passa il medium, il messaggio. E se sei stato bravo e rapido, anche il contenuto politico. (Chi abbia vinto, non importa).

 

Dice un vecchio (e poco considerato) adagio del mestiere che un giornale generalista lo possono fare tutti, la cosa che saprebbero fare in pochissimi è un rotocalco, o un tabloid. Di Bianca Berlinguer (la signora è giovanissima, rintra nel gruppo solo per anzianità di teleschermo), dei suoi tratti comunicativi decisi, a volte professorali, pochi avrebbero scommesso che sarebbe stata all’altezza della sfida di un rotocalco, nell’orario meno politico e più frastornato dalle contro-programmazioni pop che ci sia, le 18 e 25 su Rai3. Eppure il suo debutto con “Carta bianca”, il suo milione 460 mila spettatori, lo share al 9,71 per cento, intervistando Ezio Mauro, non Arisa, sta lì a dimostrare, come sopra, che la televisione bisogna saperla fare. E che si può adattare un format senza replicarlo. Non tutte le critiche al suo nuovo programma sono state positive, ci mancherebbe, ma di questi tempi si sono visti esordienti peggiori. E Berlinguer ha smentito sia chi temeva la vendetta dell’Epurata, sia chi ne prevedeva l’evanescenza oraria. Per tornare ai grandi vecchi, basterebbe Maurizio Costanzo. Nel suo spazio naturale – che non è il prime time, lui è un vino da degustazione – sta dando lezioni, e soddisfazioni, su come si regga un’intervista, con quali tempi e di come si serva un personaggio con una tisana e la pasticceria secca. Fa parlare anche Belen, Costanzo. Perché la televisione è un contenitore per vecchi. Le urne del referendum, tra un po’ lo sapremo. 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"