Rocco Schiavone, protagonista della fiction di Rai 2

Chi vuole censurare il Commissario Schiavone che mena, fuma e piace

Maurizio Crippa

La sinistra law and order e la destra confusa hanno fatto un’interrogazione parlamentare perché il messaggio veicolato dalla serie è diseducativo e scorretto: il poliziotto è un violento e fuma pure la cannabis.

"Never trust a nigger”. Per quanto cinico, scorretto, e passabilmente incazzato con la vita il commissario Schiavone viene pur sempre da Roma, da qualche parte c’è pur sempre un filamento di Dna umanista che non si riesce a staccare. C’è sempre differenza con un poliziotto cosmicamente bastardo e disilluso come Jimmy “Popeye” Doyle. Anche lui fuori luogo, displaced, di fronte al fottuto mare di Marsiglia che detesta almeno quanto Rocco Schiavone detesta la neve della Val d’Aosta. Il Gene Hackman-Jimmy “Popeye” del Braccio violento della legge è il capostipite dei cops cattivi e poco curanti delle regole. Ma basterebbe Dirty Harry, come prototipo del commissario che non ha remore ad ammazzare uno stupratore (nel quarto film della serie), che è poi il motivo per cui Schiavone l’hanno mandato in Val d’Aosta (il ragazzo che ha quasi spedito all’inferno è figlio di un politico: siamo in Italia, mica in America, e un po’ d’anticasta è d’obbligo). Quando uscì, nel 1971, The french connection vinse cinque Oscar, ma fu aggredito come un film fascista, ma fascista proprio, in mezzo mondo. Così come fu bollato fascista Maurizio Merli, il romanissimo e poliziottesco commissario Betti di Roma violenta, che prima menava e poi chiedeva i documenti. Però allora era la sinistra a gridare inorridita. Recensione del quotidiano comunista Paese sera: “L’ideologia di pura marca fascista che circola per tutto il film non è nemmeno mascherata, come altre volte nel filone ‘poliziotto’, da alibi legalitari”.

 



  

Ma intanto fottiti, mare. Come Gene-Popeye che lo odiava. E basta con gli odori di Sicilia, con il bagno nel mare di Sicilia, le masserie e i barocchi di Sicilia. Colpo di scena, o almeno cambio di location, qui siamo in montagna. E Schiavone la odia, la odia proprio, freddo e neve e gente che parla un idioma strano. Ma mutare scenario serve (finalmente) alle fiction commissariali Rai per cambiare un po’, o soprattutto, anche morale della favola. Basta col buonismo sofferto, empedocliano, del commissario Montalbano. Basta con quell’aria di cultura, profumata di Sciascia, perbene e molto di sinistra. Il Commissario Schiavone, tratto dai romanzi di Antonio Manzini (Sellerio) segna uno stacco. Marco Giallini non ha la carriera di Gene Hackman, ma una bella ghirba da duro malinconico, è bravo ed è l’italiano del momento, non c’è che dire. Il suo personaggio è uno stacco per il suo fare scazzato, la sua patina cinica, “un uomo che ha capito che si muore a questo mondo, un po’ come me. Sa che deve morire” (intervista). Un poliziotto che dice parolacce, che fuma in continuazione, che si fa pure le canne. Che ha un fantasma e non una moglie, e un rapporto con le donne non diremo trumpiano, ma nemmeno da sognatore romantico. Basta con gli eroi solitari, tra questura e santità.

 

  

L’Italia è cambiata o almeno ci prova, persino Beppe Sala vuole tolleranza zero come Rudy Giuliani, persino la sinistra non storcerebbe più il naso, di fronte a una pizza ben assestata a fin di legalità. La cosa strana è che adesso è la destra che vorrebbe bloccare Rocco Schiavone come un Maurizio Merli qualsiasi: fascista. Hanno fatto un’interrogazione parlamentare perché il messaggio veicolato dalla serie è diseducativo e scorretto: è un violento e fuma pure la cannabis: possiamo presentare così la polizia? L’hanno fatta Maurizio Gasparri, Carlo Giovanardi e Gaetano Quagliariello. Gasparri ha definito Schiavone un “eroe per imbecilli”. Ha dovuto intervenire l’associazione “100autori” (non tutti di sinistra, molti di sinistra), a difendere le “scelte artistiche della Rai”. Una volta i poliziotteschi erano di destra, adesso è la sinistra ad avere un immaginario law and order. #Capireilpaese. #Gasparri.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"