Il presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia (foto LaPresse)

La democrazia viene prima della politica, dicono i partigiani

Maurizio Stefanini
Oggi l’incontro Renzi-Anpi. I rappresentanti della Fivl ci spiegano perché sul referendum hanno lasciato libertà di coscienza.

Roma. Oggi alla Festa dell’Unità di Bologna si terrà finalmente il faccia a faccia tra il premier Matteo Renzi e il presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, sul sì e no al referendum costituzionale. A far da arbitro ci sarà Gad Lerner. E un nodo viene al pettine, dopo una lunghissima vicenda di collateralità dell’Anpi rispetto al Pci e ai suoi eredi. Riguarda implicitamente l’altro nodo della rappresentatività di un’organizzazione che è la più antica di quelle degli ex partigiani, e che ha 120 mila iscritti, ma solo cinquemila di loro hanno fatto effettivamente la Resistenza. L’indicazione “vincolante” per il sì – e la possibilità di iscrivere simpatizzanti non reduci – sono divenute un nuovo fronte di contrasto tra l’Anpi e le altre due organizzazioni di ex partigiane: la Fivl e la Fiap.

 

La prima spesso indicata come “cattolica” per essere stata presieduta da Enrico Mattei e Taviani, ma che in effetti raggruppò tutti gli ex partigiani di orientamento moderato che avevano militato nelle formazioni autonome. Liberali, monarchici, militari, “badogliani” in genere, ma anche repubblicani e socialisti. La seconda ruota essenzialmente sull’ex Partito di Azione, ma con presenze di altri laici (socialisti, repubblicani, ma anche qualche liberale e alcuni anarchici). All’epoca si staccarono dall’Anpi non condividendo la sua mobilitazione contro la Nato. Sia la Fivl che la Fiap tesserano solo ex combattenti. Ed entrambe le associazioni, a differenza dell’Anpi, hanno lasciato libertà di voto.

 

Anzi, nel caso della Fiap, il presidente Mario Artali si è personalmente pronunciato per il sì. “L’Anpi non è un’associazione ma un partito: ieri al servizio dei comunisti, oggi al servizio della Cgil”, dice al Foglio Lelio Speranza, vicepresidente vicario della Fivl. “Ormai la gran parte dei partigiani sono morti, la gran parte degli iscritti dell’Anpi è costituita da giovani o uomini di mezza età che provengono dalla sinistra o dalla Cgil, e che fanno un tipo di politica che rovina l’immagine della Resistenza. Non si possono identificare i partigiani con chi fa gazzarre come quelle di ogni 25 aprile contro i reduci della Brigata Ebraica”. E’ sostanzialmente la stessa analisi che fa Gian Franco Cagnasso, consigliere nazionale Fivl: “Il problema dell’Anpi è che ormai è quasi tutta costituita da ragazzotti politicamente esaltati che non hanno niente a che fare con la Resistenza. E’ il rifugium peccatorum degli estremisti di sinistra: tutti i vecchi stalinisti che non trovano più spazio nel Pd si rifugiano nell’Anpi, dove iscrivono perfino i ragazzini di scuola media”.

 

Del resto Lelio Speranza, 90 anni, un partigiano lo è stato sul serio. Allora fu combattente nel Primo gruppo divisioni alpine del maggiore Enrico Martini Mauri – l’ufficiale e liberale che comandò la più importante formazione armata di tutta la Resistenza italiana. Diecimila uomini, di cui mille caduti. Fu questa la formazione che prese Alba, e in cui combatté Beppe Fenoglio. Cagnasso, 75 anni, non è invece, per ragioni anagrafiche, un ex partigiano. Ma è lo stesso consigliere nazionale della Fivl, oltre che vicepresidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona, in quanto orfano di partigiano: suo padre, anche lui nelle formazioni Mauri e poi organizzatore delle formazioni Garibaldi a Savona, morì a 34 anni durante il grande rastrellamento del novembre 1944. “Non aveva maturato la pensione, e la pensione privilegiata di guerra che diedero a mia madre era una miseria: quando morì, nel 1992, prendeva solo 600.000 lire”.

 

Insomma, la Fivl, come la Fiap, non tessera i ragazzini, ma solo “chi ha fatto la Resistenza direttamente o ne ha sofferto le conseguenze in quanto familiare”. Sul referendum costituzionale, sia la Fivl che la Fiap hanno lasciato piena libertà di voto agli iscritti. Cagnasso confessa che anche se non ha ancora deciso il no gli sembra avere buone ragioni. Ma, spiega Speranza, “ognuno deve essere libero di votare come vuole, secondo coscienza e secondo l’impegno che dobbiamo avere nei confronti dei caduti, nei confronti della difesa della democrazia, nei confronti della difesa della libertà”. E anche Cagnasso spiega che “se pure questa Costituzione che ai nostri padri è costata la vita prima di modificarla bisogna pensarci bene”, la cosa più importante è che “ci sia piena libertà di coscienza per chi vota”.

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