Foto LaPresse

Perché ora servirebbe uno “stress test” anche per i giudici d'assalto

Renzo Rosati
Il malfunzionamento della giustizia e l’indifferenza per i risvolti economici dei provvedimenti blocca l’economia. La Bce bacchetta le scarse garanzie per i “diritti legali e di proprietà”. Il caso Ilva insegna.

Roma. Pur criticati, i primi stress test dell’èra del bail-in – cioè la possibilità che le banche falliscano a spese di azionisti e obbligazionisti se i governi non trovano alternative di mercato – i cui risultati sono stati pubblicati in tarda serata, presentano una novità: chiamano in causa la politica, dunque possibilmente scelte rapide e riforme,  producendo anche le resistenze dei soggetti coinvolti, che non sono solo gli istituti di credito. Per l’Italia uno spaccato lo si è visto appunto per il Monte dei Paschi, la sola tra le cinque banche nazionali a non passare la prova, come già nel 2014. Così mentre dall’istituto senese veniva respinta l’offerta della Ubs e dell’ex ministro e ad di Intesa Corrado Passera, considerata un take over al ribasso, il Movimento 5 stelle, attraverso il solito blog di Beppe Grillo proponeva nazionalizzazioni e commissioni d’inchiesta as usual.

 

Comunque nel pomeriggio la Banca centrale europea ha avallato l’intervento dei privati per una ricapitalizzazione da 5 miliardi (cui non aderirà Fondazione Mps, manterrà una quota simbolica) e per l’acquisto da parte del fondo Atlante dei crediti deteriorati di Mps a un prezzo non punitivo. Il tutto con garanzia pubblica e consulenza di Jp Morgan e Mediobanca. Ai prossimi test magari si metteranno alla prova il rapporto tra capitali e dipendenti, in Europa molto più basso che negli Usa, con esuberi previsti in Germania specie per Deutsche Bank (Db) e in Italia per Unicredit. Forse si misurerà finalmente il rischio derivati: uno studio R&S Mediobanca vede le banche italiane meno esposte rispetto al resto d’Europa, soprattutto a paragone di Db, Crédit Suisse e Société Générale. Ma riguardo all’Italia non sono solo i bilanci bancari a preoccupare la Banca centrale europea, alla cui vigilanza sono affidati gli stress test.

 


In un fresco working paper della Bce si parla di “sistema legale e giudiziario largamente inadeguato”, il più inefficiente della zona euro dietro Portogallo e Grecia. Il che, dice l’Eurotower, “fa sì che un’azienda italiana abbia più difficoltà a ottenere credito delle concorrenti in Germania, Francia, Irlanda o Finlandia”. Scritto da Andrea Moro, docente della Cranfield School of Management, Annalisa Ferrando, economista della Bce, e Daniele Maresch dell’Institute for Innovation Management di Linz, il dossier cita le scarse garanzie per “diritti legali”, “protezione della proprietà”, “rapidità e chiarezza delle sentenze”. Il 21 luglio Draghi ha invitato il governo Renzi a riformare la giustizia civile, mentre il capo economista della Bce ha citato esplicitamente il malfunzionamento della giustizia italiana.

 

Si tratta in larga misura delle stesse inefficienze denunciate da Giovanni Canzio, presidente della Cassazione, al convegno del Foglio del 15 giugno sui Confini della giustizia. Riferendosi agli attuali limiti di prescrizione (che molti vorrebbero invece allungare) Canzio osserva come non si concludano i tre gradi di giudizio per abuso d’ufficio in 7 anni e mezzo, per peculato in 12 anni, per concussione in 15, per associazione a delinquere in 17. E come il protagonismo di molte procure intasi il sistema e blocchi il paese. Ma dalla parte più corporativa della magistratura, come l’Anm presieduta da Piercamillo Davigo, non è arrivata risposta né a Canzio né a Draghi, mentre viene respinta ogni ipotesi di riforma. Anche i magistrati della Corte dei Conti si sono schierati contro il nuovo processo contabile della riforma Madia, e già che c’erano hanno anche espresso perplessità sul fondo Atlante, sulla Cassa depositi e prestiti e sul piano per rilanciare l’Ilva.

 

Proprio il complesso siderurgico di Taranto pare la dimostrazione concreta delle aberrazioni giudiziarie descritte dalla Bce. I ripetuti sequestri della procura, accanto alla tutela dell’ambiente, non tengono mai conto delle ricadute economiche e nell’occupazione (stessa cosa per le inchieste sull’Eni in Basilicata), con costi stimati in 3 miliardi di euro, due decimali di pil. Ieri Renzi, a Taranto per firmare un piano da 850 milioni di investimenti, si è in compenso beccato l’epiteto di “assassino”.
Eppure mentre l’ala politicizzata dell’Anm si organizza per i No al referendum costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura ha già chiesto il trasferimento nell’amena e lussuosa Villa Lubin, finora sede del Cnel, ente che la riforma sopprime. C’è conflitto d’interessi, ma non si dice.

Di più su questi argomenti: