Direzione Nazionale del Partito Democratico (foto LaPresse)

Come tornare a un Pd vincente?

Marianna Rizzini
Volano gli stracci e volano i coltelli, nel Pd, prima e dopo la direzione in cui la minoranza dem dice a Matteo Renzi “esci dal talent di un’Italia patinata” e in cui Matteo Renzi risponde “se volete farmi fuori chiedete il congresso e vincetelo”.

Roma. Volano gli stracci e volano i coltelli, nel Pd, prima e dopo la direzione in cui la minoranza dem dice a Matteo Renzi “esci dal talent di un’Italia patinata” e in cui Matteo Renzi risponde “se volete farmi fuori chiedete il congresso e vincetelo”. Ed è nelle ore a dir poco tormentate (autolesioniste?) in cui il Pd dibatte sul tema “doppio incarico” e sui distinguo referendari interni che il partito cosiddetto “del 40 per cento”, quello delle europee 2014, comincia a sembrare un miraggio al contrario: l’avvenire luminoso dietro alle spalle, con il Renzi neo premier vincente e le cinque capolista in alcuni casi recordwoman di preferenze: Simona Bonafè, Alessandra Moretti, Alessia Mosca, Pina Picierno e Caterina Chinnici. Che cosa sia successo a quel Pd, e come tornare a esserlo, questo intanto è il problema. E Alessandra Moretti, ora capogruppo Pd nel Consiglio regionale veneto ma allora capolista eletta nel nord-est, dice che “la ricetta è riforme e ancora riforme”. E però, è la sua premessa, non bisognerebbe credere alla cieca alla “narrazione drammatica” dei media: “Ho anzi molte perplessità sui sondaggi”, dice, “anche e forse soprattutto quando sono favorevoli. E non penso che il voto amministrativo sia paragonabile a quello politico, come era quello per l’Europarlamento: i risultati del 19 giugno sono strettamente legati alle amministrazioni locali e poco alla politica nazionale: basti guardare le percentuali a macchia di leopardo o i 20 punti che ci sono stati nei 100 km tra Bologna e Rimini”.

 

Moretti recuperebbe dunque “la parola riforme nel senso di ‘parola-chiave’ di una legislatura”, dice, “iniziata con un lungo applauso delle Camere al presidente Giorgio Napolitano: si inaugurava una stagione dove il cambiamento non si configurava come una possibilità ma si imponeva come assoluta necessità”. Poi, dice Moretti, bisognerebbe “applicare a ogni campo dell’azione del governo il modello Jobs act”. Al suo partito però intanto direbbe che “non serve riempire le pagine dei giornali sui problemi delle periferie, bisogna andarci. Né serve dire che il referendum è personalizzato su Renzi: sta a noi andare a spiegare quali sono i motivi che rendono urgente una modifica della nostra bella Costituzione, a partire dalla fine del bicameralismo perfetto che renderà il nostro un Paese più efficiente e più giusto perché più stabile e governabile. Se il centrosinistra non è progresso non serve”. Perché il Pd del 2014 vinceva? Dice l’eurodeputata Pina Picierno che “quel risultato strepitoso si basò su due sentimenti che il Pd riuscì ad intercettare: da una parte la voglia di cambiamento, dall’altra il bisogno di credibilità.

 

In quel momento era molto serrato il confronto con la Commissione Europea sulla possibilità per l’Italia di fruire di una certa flessibilità nel rispetto degli impegni di bilancio. Renzi ha dimostrato di avere la forza e l’energia necessarie per poter chiedere e ottenere un cambiamento. I cittadini lo capirono. Ma in quell’occasione si votava anche per le amministrative e il risultato fu molto diverso: al 40 per cento delle Europee fece da contraltare un dato molto inferiore nei comuni, con la sconfitta in città come Livorno, Perugia e Padova”. Come si spiega? “Con le difficoltà che in molti territori si incontrano nel rinnovare la classe dirigente, con le faide locali, la resistenza al cambiamento e alcuni scandali che, purtroppo, hanno coinvolto nostri amministratori. Se si sommano questi fattori si arriva facilmente al risultato delle amministrative di oggi e degli anni scorsi. E anche oggi il Pd vince dove riesce a innovare e a presentare una proposta credibile: il Pd, in sostanza, vince quando fa il Pd”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.