Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il compagno Renzi: cinque motivi per cui il premier è diventato fin troppo di sinistra

Marco Alfieri
Rottamatore di destra? Magari. Esattamente l’opposto delle accuse che gli vengono mosse dai detrattori. Eccoli, in pillole. Fatti e solo fatti.

Roma. “Caudillo”, “ducetto di Rignano”, “sodale di Verdini”, “affossatore del Pd”, "distruttore della Costituzione Antifascista", “Berluschino”, anzi no, “sei peggio di Berlusconi…”, e si potrebbe continuare per un paragrafo. In rete, in Parlamento, nei talkshow e nel giornalismo italiano è fiorito da tempo il genere letterario degli epiteti al premier Renzi e al suo cerchio stretto (Maria Elena Boschi su tutti). Diversi tra loro, hanno tutti un filo conduttore: dipingerli come un corpo estraneo alla sinistra, arroganti & autoritari, avventuristi, fuori dalla sua storia e dall’album di famiglia. Basta vedere la piega che sta prendendo il dibattito intorno al referendum di autunno (partigiani compresi). In realtà se andiamo al sodo di questo governo potremmo elencare almeno cinque motivi per cui Matteo Renzi è troppo di sinistra. Esattamente l’opposto delle accuse che gli vengono mosse dai detrattori. Eccoli, in pillole. Fatti e solo fatti, senza darne alcun giudizio di merito.

 

Politica estera onusiana. Scordatevi il partito della guerra, il linguaggio marziale, l’unilateralismo blairian-bushiano o la Spectre neocon. Nell’agenda internazionale renziana ci sono le conferenze sul futuro dell’Africa, gli interventi per lo sviluppo sostenibile al palazzo di Vetro (impegnandosi a portare al 50 per cento del mix energetico italiano il peso delle rinnovabili), gli appelli umanitari a difesa dei bambini siriani, il mito dell’Europa spinelliana e, soprattutto, le prudenze diplomatiche da “vecchia Europa” in Medioriente, dove gli eserciti restano chiusi nelle basi e in Libia non si sbarca senza un preciso mandato Onu, per la gioia della minoranza Pd (e del popolo arcobaleno).   

 

Deficit spending. La politica economica del premier, ridotta all’osso, finora è stata un mix di redistribuzione (dagli 80 euro alla promessa del bonus da 500 euro agli studenti, ma solo dopo il referendum) e investimenti in deficit che nemmeno Tsipras in Grecia, sfidando la commissione di Bruxelles (che ha dovuto riconoscergli la flessibilità) e il rigore contabile dell’eurozona (e della Germania).

 

Il tabù della spesa. Sul versante della spesa pubblica la parola spending review è stata depennata (insieme ai suoi vecchi commissari), le pensioni e i pensionati (sindacalizzati) non si toccano, anzi sono una delle costituency elettorali renziane e il taglio delle tasse, se mai si farà, si farà l’anno prossimo, con buona pace dei liberali. Socialdemocrazia 2.0.

 

Diritti civili. Si può pensare tutto della legge sulle unioni civili, che sia imperfetta, dimezzata o, al contrario, l’inizio della fine della famiglia tradizionale e una pericolosa sovversione dell’ordine naturale. Di certo è il provvedimento più progressista in materia di diritti civili varato da un governo italiano dai tempi della legge sull’aborto (ricordiamoci che il Prodi bis cadde anche sulla vicenda Dico). Quando mai un politico di destra, nel paese del Vaticano, si sarebbe azzardato a dire: ho giurato sulla costituzione, mica sul vangelo.

 

Magistratura. Anche qui, altro che rottamazione dei Pm, meglio l’appeasement che non si sa mai. Come per molti magistrati anche per Renzi il Pd e in generale la politica sono attraversati dalla mitica “questione morale.” E poi, e poi, “tranquilli, non c’è alcun complotto contro di noi.” Non propriamente lo stesso atteggiamento, lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti retorici di Berlusconi nei confronti delle odiate “toghe rosse”.

 

Per questo fa sorridere chi lo accusa di essere un “ducetto da Rignano” o un pericoloso “Caudillo”. Guardando ai fatti del suo governo, se proprio volessimo aggiungere un altro epiteto al lungo elenco in circolazione, potremmo ben dire “compagno Renzi…”.