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Il disegno della tensione

Claudio Cerasa
La sindrome dell’accerchiamento, le toccatine di polso e la battaglia tra governo e pm che trova terreno fertile nella campagna referendaria. Lo scontro su Lodi arriva al Csm. L’assedio esiste? Provate a unire i puntini.

Tu chiamala se vuoi la sindrome dell’accerchiamento. Il consigliere laico del Csm Giuseppe Fanfani, area Pd, con una dura nota diramata ieri mattina alle agenzie di stampa sul caso degli arresti di Lodi ha messo nero su bianco, con un linguaggio neppure troppo felpato, quello che è diventato a tutti gli effetti il tema centrale di questa complicata fase della vita politica. Fanfani non arriva a mettere a fuoco quello che ieri si è domandato il Foglio – ovvero fino a quando i pm resisteranno alla tentazione di sentirsi investiti di un mandato politico e fino a quando i pm più politicizzati resisteranno alla tentazione di mettere in moto contro il governo Renzi una letale campagna di delegittimazione – ma le sue parole rivelano che anche nel mondo democratico comincia a essere chiaro che la dialettica tra magistratura e politica inizia a prendere delle sembianze sempre meno simili a un semplice confronto tra istituzioni e sempre più simili a una battaglia tra corpi dello stato. “In quarant’anni e più anni di attività di penalista – ha detto Fanfani – non ho mai visto incarcerare alcuno per un reato come la turbativa d'asta, soprattutto quando l'interesse dedotto è quello di una migliore gestione di una piscina comunale.

 

Non mi pare che fossero necessari provvedimenti di cautela, ma se proprio lo si riteneva bastavano provvedimenti interdittivi e non certo coercitivi. Il carcere mi pare del tutto fuor di luogo, frutto di una non equilibrata valutazione del caso e il provvedimento cautelare nei confronti del sindaco di Lodi, da quello che si apprende dalla stampa, mi pare ingiustificato e comunque eccessivo: forse figlio di un clima di tensione che non fa bene né alla giurisdizione né ai rapporti interistituzionali”. La “tensione” di cui parla il consigliere laico del Csm è qualcosa che va ben al di là del singolo caso dell’arresto del sindaco di Lodi Simone Uggetti, successore dell’attuale vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, e riguarda un mosaico più grande che forse non dimostra nulla ma dimostra senz’altro che la sindrome di accerchiamento esiste e non è detto che sia una sindrome del tutto esagerata.

 

Sono segnali, certo, segnali che possono apparire solo come semplici coincidenze, ovvio, ma a voler mettere insieme tutti i puntini non si può non notare che il disegno che viene fuori rappresenta un messaggio che arriva al presidente del Consiglio: occhio. Negli ultimi due anni i segnali, ovviamente del tutto casuali, ci mancherebbe, quelli che in gergo si chiamano “toccatine di polso”, sono arrivati a tutte le persone più vicine al presidente del Consiglio. E’ successo tutto negli ultimi due anni. Toccatine di polso. L’indagine sul papà del presidente del Consiglio, Tiziano Renzi, con una richiesta di archiviazione formulata dai pm sette mesi fa e misteriosamente non ancora accolta dai giudici della procura di Genova. La procura di Firenze che apre un fascicolo senza indagati per il caso della casa prestata da Carrai a Renzi. L’indagine sul papà di Maria Elena Boschi, sul caso Etruria.

 



 

Le conversazioni intercettate tra l’ex numero due della Guardia di Finanza Michele Adinolfi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, in parte filtrate sui giornali, con allusioni varie del circo mediatico giudiziario sul fatto che quelle chiacchierate sono solo il primo assaggio di quello che sarà. L’interrogatorio voluto fortissimamente dalla procura di Potenza al ministro Boschi, rispetto al caso Gemelli, per verificare, relativamente alla presentazione di un emendamento, se un ministro dei rapporti con il Parlamento può effettivamente avere rapporti con il Parlamento. E poi, oltre ovviamente al caso Uggetti-Guerini, con il vicesegretario del Pd descritto dal circo mediatico giudiziario come se fosse lui la persone che sarebbe dovuta finire in carcere, ci sono le storie legate ai due referendum.

 

Il primo, quello sulle trivelle, preceduto da un’inchiesta sulle trivelle fatta detonare dalla procura di Potenza a pochi giorni dal referendum sulle trivelle. Infine, questione centrale per decifrare con l’evoluzione dei poteri tra magistratura e politica, il referendum costituzionale di ottobre contro il quale si sono schierati esplicitamente i giudici e i pm di Magistratura democratica, iscritti al comitato del no, e contro il quale è indirizzata ogni singola parola e ogni singola dichiarazione del nuovo presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo. Trarre conclusioni precise dal disegno che si trova all’origine della sindrome d’accerchiamento non è facile, forse. Più facile è invece ragionare su un altro punto: sul fatto che l’effetto emulazione, inteso come la volontà esplicita di una parte della magistratura politicizzata di combattere moralmente il governo, non a caso sta maturando sul terreno fertile dello scontro sul referendum costituzionale.

 

Il combinato disposto tra riforma elettorale e riforma costituzionale nel futuro potrebbe creare le basi giuste per avere dei governi stabili capaci di riformare senza dover fare i conti con le mediazioni costantemente richieste dalla parte più politicizzata della magistratura e si capisce dunque che da molti magistrati, come ammesso esplicitamente da uno dei capi regionali dell’Anm, il pm di Trento Pasquale Profiti, “la cosiddetta governabilità, come valore assoluto, non solo non risolve nulla dei mali di una collettività, ma è pregiudizievole al suo sviluppo sociale ed economico, oltre che istituzionale”. Il messaggio è chiaro ed è lo stesso che consegna oggi al nostro giornale il consigliere del Csm Morosini, Md, intervistato da Annalisa Chirico nell’inserto I: se passa la riforma costituzionale, la politica potrà fare qualsiasi cosa anche del sistema giudiziario. Se non passa il referendum costituzionale non ci sarà nessun uomo solo al comando e ci saranno ancora tutti quei contrappesi che non garantiscono una piena “governabilità”. Il disegno è chiaro. Lo schema pure. Il clima di tensione, con relativa sindrome dell’accerchiamento, nasce anche da qui e chissà dove arriverà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.