Denis Verdini (foto LaPresse)

Scarpe coatte eppur bisogna andar… Apologia del mocassino “blu Verdini”

Alessandro Giuli
Il suprematismo estetico della sinistra orfana dei baffi dalemiani. La sofferenza, tutta estetica, del mite Miguel Gotor mentre assiste al trionfo dell’ex (?) berlusconiano Denis Verdini che salva Matteo Renzi dalla sfiducia e ipoteca un posto al sole nelle tasche della nuova maggioranza di fatto.

Me la vedo eccome, la sofferenza del mite Miguel Gotor raccontata ieri sul Corriere dal perfido Fabrizio Roncone. La sofferenza acuta di quest’anima bersaniana in corpore tondo della minoranza dem, mentre assiste al trionfo dell’ex (?) berlusconiano Denis Verdini che salva Matteo Renzi dalla sfiducia e ipoteca un posto al sole nelle tasche della nuova maggioranza di fatto, quella che condurrà le danze da qui al prossimo voto. Ma è un patimento quasi tutto estetico, a quel che pare, derivato dalla vista di quei “mocassini di camoscio blu, scarpette simili a quelle di Flavio Briatore, però senza nappine e senza iniziali: che invece sono sulla camicia tagliata su misura, con i polsini stretti da gemelli d’oro massiccio”. Di qui l’alto lamento, lo sbotto rasoterra, il ringhio mesto: “Guardi com’è vestito. Guardi come cammina. Direi che è antropologicamente diverso da noi”.

 

Esistono uomini che sono destini. Quello di Verdini è anche di vellicare, esulcerandolo, il suprematismo estetico di una sinistra senza più colori, costretta com’è ad aggiornare il suo grigio pantone domestico con l’introduzione del “blu Verdini”: un cazzotto negli occhi, l’emblema di una gioiosa e destra cafonaggine di provincia che si fa largo al governo; con in più quel tratto di toscanitudine bottegaia così comune alla corte fiorentina del principe Renzi. Che se poi lo guardi bene, l’abisso estetico, con quei grassi gemelli d’oro, ci ritrovi pure un tocco di modernariato berlusconiano. Procul, o procul este burini…

 

Ma c’è un però, e nemmeno piccolo, che grava come un dispetto sul verdinifobico de sinistra, si chiami egli Gotor oppure no. Ha appunto a che vedere con le scarpe, ed è il blasone posticcio del motore immobile di questa minoranza dem così ammaccata: Massimo D’Alema. Non fu forse lui, nell’età d’oro della sua carriera, ad attirarsi lunghi lazzi e sberleffi intorno a quel paio di scarpe fatte fare su misura da un artigiano altrimenti oscuro; e di cui presto ebbe a vergognarsi come la gens nova che, scalata la piramide sociale, s’inventa uno stemma di nobiltà bugiardo? Fu lui. Tanto da dover chiudere la questione così, davanti a Curzio il Censore Maltese: “Costano 120 euro al paio e non 1.000, fine della precisazione”. E la classe operaia s’acquietò.

 

[**Video_box_2**]Ma non può essere solo una questione di stile, con tali presupposti, e Gotor lo sa in cuor suo. Come dovrebbe ricordare che la purezza e la signorilità sono le due lame d’uno stesso coltello da maneggiare con tanta cura. Al giorno d’oggi di sinistra non si nasce più, semmai si diventa. Gotor immodestamente lo nacque, ma assieme a quelli come Verdini governa l’Italia più o meno dal 2012, con qualche intermittenza e troppe dolenti amnesie.

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