Luciano Violante (foto LaPresse)

L'uso immorale della questione morale tra politica e no. Parla Violante

Salvatore Merlo
L’indagine su Mafia capitale sta “oggettivamente mettendo in difficoltà il governo”, dice Luciano Violante. “E anni fa Romano Prodi cadde per un’indagine sulla moglie di Clemente Mastella”. O siamo il paese più guasto e corrotto del mondo, può darsi, o c’è un cortocircuito tra manette e sistema politico, o forse sono vere entrambe le cose?

L’indagine su Mafia capitale sta “oggettivamente mettendo in difficoltà il governo”, dice Luciano Violante. “E anni fa Romano Prodi cadde per un’indagine sulla moglie di Clemente Mastella”. O siamo il paese più guasto e corrotto del mondo, può darsi, o c’è un cortocircuito tra manette e sistema politico, o forse sono vere entrambe le cose? “Guardi che l’intervento dei magistrati diventa una spallata solo dove il sistema politico è debole”, risponde Violante. Negli Stati Uniti emergono fatti di spaventosa corruzione, ma il sistema non trema dalle fondamenta, ogni volta. “In Francia è in corso un’indagine sull’Ump, il partito di Sarkozy. Non solo, anche Christine Lagarde è sotto inchiesta. Eppure il sistema lì sembra disporre degli strumenti per separare la politica dall’azione giudiziaria. In Italia il codice penale è diventato il codice etico della politica. Ma soltanto perché la politica è debole nel rapporto con la società, e sembra interessata al solo obiettivo di vincere le elezioni, non all’obiettivo di governare la comunità. La lotta politica ha assunto una torsione ludica, come se fosse un gioco, non un impegno gravoso per il governo del paese. Lo abbiamo visto nelle recenti elezioni regionali, cinque a due, sei a uno, come se si trattasse di una partita di tennis. E quindi le iniziative giudiziarie, a prescindere dalla loro fondatezza, diventano armi da usare contro l’avversario politico del momento. Per questo si fa, a volte, un uso immorale della questione morale”.

 

Il codice penale è diventato il “codice etico della politica”, dice Violante. E la frase è di quelle sonore, tonanti. “Lei pensi alla legge Severino. Forse era necessaria. Ma davvero c’è bisogno di una legge per stabilire chi può candidarsi alle elezioni e chi no? Mi sembra il massimo dell’abdicazione da parte della politica, che si rivela incapace, da sola, di selezionare la propria rappresentanza, e ha bisogno di affidarsi al codice penale che ovviamente usa parametri del tutto diversi da quelli politici. Un tempo, i grandi partiti coltivavano l’etica pubblica, e la coltivavano secondo princìpi compatibili con le esigenze della politica. Esigenze che non stanno nella stessa scala, e misura, della giustizia penale”.

 

E insomma esistevano strumenti di controllo preventivo. Non sempre funzionavano. Ma c’erano. “Se il problema è solo vincere, si cerca di mettere in lista non chi aiuta a governare ma solo chi aiuta a vincere, e capita poi che vinci ma non riesci a governare e non sei più del tutto capace di difendere le persone che ti sei tirato dietro. Anche perché, in realtà, non le conosci. La politica decide spesso solo in base agli umori; non ha più un rapporto con le intelligenze della società italiana, non si pone nemmeno il problema di interpretare – figurarsi orientare – la società, ma più che altro guarda i sondaggi: si interroga su come scivolare meglio, e con maggior vantaggio acrobatico, sulle secrezioni umorali del paese”. E allora Violante rimpiange la professionalità della politica, “perché non è una malattia”, dice. “La malattia è il carrierismo, cioè l’esatto contrario del professionismo: è la patologia da cui deriva l’uso cinico delle indagini giudiziarie con finalità politiche”. Ovvero tintinnare di manette e tremore di Palazzo.

 

[**Video_box_2**]Ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha alternato toni di fermezza ad accenti prudenti, nel suo intervento in Parlamento, quando ha affrontato la questione delle indagini romane. “Dell’indagine Mafia capitale sappiamo ancora troppo poco. Non sappiamo nemmeno se le indagini sono finite, o c’è dell’altro. Quello che è successo a Roma potrebbe essere dunque molto peggio, ma potrebbe essere anche molto meno di quello che appare. E poiché non lo sappiamo, ci vorrebbe un po’ di calma e di buon senso. Ma il metodo prevalente è che si leggono dei titoli di giornale, si acchiappano quattro articoli, e poi si usano come un’arma per fare politica”. E’ l’uso immorale della questione morale. “E dobbiamo uscirne”.

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.