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Santacroce o dell'irresponsabilità civile

Redazione
I deboli argomenti della Cassazione contro una legge, sulla responsabilità civile dei magistrati, semmai timida. Quello che non si vuole accettare è un principio di responsabilità, lo stesso che vale per chiunque nell’esercizio della sua professione arrechi danni a terzi.

Il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, attacca la legge sulla responsabilità civile dei magistrati e lo fa con due argomenti, uno falso e l’altro assai opinabile. La legge sarebbe “tutta italiana” perché non è stata affatto richiesta dalle autorità europee, sostiene, ricevendo la replica immediata del viceministro della Giustizia Enrico Costa, che ricorda che l’Italia è stata messa in mora per l’inosservanza del principio del risarcimento e che se non fosse intervenuta la legge avrebbe subìto sanzioni eocnomiche. L’altra tesi sostenuta dall’alto magistrato è che la responsabilità civile (che peraltro si applica solo a casi di “negligenza inescusabile” che saranno comunque valutati da altri magistrati) farà sì che il giudice “che tiene famiglia adotterà le soluzioni più caute e meno coraggiose”. A parte il fatto che la cautela dovrebbe essere una regola generale soprattutto quando si esercita il potere di privare della libertà i cittadini, non si capisce che cosa c’entri il “coraggio” con la negligenza. Quello che non si vuole accettare è un principio di responsabilità, lo stesso che vale per chiunque nell’esercizio della sua professione arrechi danni a terzi, ma dal quale i magistrati pretendono una immunità toltale, ancora più ampia di quella che la timidissima legge prevede. Santacroce poi non si rende conto dell’ambiguità della sua certezza “che i giudici ne daranno la giusta interpretazione”, che sembra far intendere che le sentenze sulla responsabilità saranno in sostanza ispirate al sabotaggio della legge, quella che dovrebbe essere eguale per tutti.

 

Tutto questo allarme, peraltro, non sembra basato su nulla: i ricorsi per responsabilità civile dei magistrati che sono stati presentati a tutt’oggi si contano con le dita di due mani. E’ bbastanza evidente che non è il dispositivo della legge o la possibilità di una ampia azione di rivalsa di cittadini colpiti dalla malagiustizia quello che irrita la magistratura. E’ puramente e semplicemente il fatto che il Parlamento abbia osato deliberare in materia di giustizia senza ottenere preventivamente l’avallo della corporazione. Più interessante appare invece la considerazione del vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, sul fatto che “il legislatore spesso riversa sulla giurisdizione il compito di risolvere temi che non ha affrontato o non vuole affrontare”. In questa osservazione c’è del vero, ma potrbbe anche essere capovolta, osservando come in vari casi la magistratura intervenga per cancellare scelte legislative sgradite, com’è accaduto ad esempio per la legge sulla procreazione assistita o sul blocco dell’indicizzazione delle pensioni. La Costituzione non prevede una supplenza della magistratura al potere legislativo, ma questa ormai è una prassi su cui bisognerebbe riflettere seriamente.