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Piccola Posta

Cara Schlein, vantarsi della minoranza dei votanti non è vincente

Adriano Sofri

Ancor peggio è metterla a confronto con quelli che votano per il malaugurato governo in carica. Guadagnare il voto e la partecipazione degli astenuti è il compito maggiore di un partito democratico, e invece ci si rassegna a una gara fra i due campi nel recinto sempre più ridotto dei votanti

Cara Elly Schlein, i giorni passano, e ammesso che avessi avuto voglia di maramaldeggiare un po’ anch’io sul referendum, mi sarebbe passata. Poi martedì sera ho guardato Domenico Iannacone e mi sono arricreato. Tu lo guardi? Io non so se sia di qualche partito, e quale. Vedo che gli piace toccare le persone che incontra, e spesso sono persone dalle quali altri si terrebbero a distanza. Tocca pure gli animali, ma questo lo fanno volentieri magari gli altri che starebbero a distanza dagli umani strammi. (Sto rileggendo Camilleri, mi viene così). Martedì era la quarta puntata di Iannacone, per quest’anno: l’ultima. Tirchi: non vogliono che si abitui?

Dunque, il referendum. Perfino io, che ho ormai una pratica sociale limitata e dunque un limitato diritto di parola, non dubitavo che il quorum si sarebbe mancato, e di molto. “Attorno al 30 per cento”, avrei detto, in una cena fra amici, a vanvera. Era il 28. Quando ci si impegna in una partita persa, c’è almeno il vantaggio di non poterla perdere più di così, di dichiararlo, e di fare decentemente la propria parte. Quei confronti strampalati sui voti alle elezioni e questi al referendum erano una sciocchezza, e si è visto. (Si è visto anche che una buona percentuale dei 5 stelle, dalla cima in giù, vota No alla cittadinanza dopo soli 5 anni più gli altri di purgatorio). Ma il punto mi sembra un altro – magari l’hanno detto in tanti, è difficile essere originali. Il punto è che il principale impegno tuo e delle e dei tuoi colleghi e compagni sarebbe di persuadere un numero crescente di quel numero crescente di persone che non votano.

Ora, vantare la minoranza – consistente, certo – di votanti al referendum come il proprio patrimonio, e addirittura metterlo a confronto con i votanti per il malaugurato governo in carica, fa una brutta impressione agli astenuti di qualunque risma, e fa sospettare una rassegnazione alla gara fra i due campi (ammesso che) dentro il recinto sempre più ridotto dei votanti, e tutto il resto perduto. Magari col pensiero, non infondato finché le cose stanno ferme, che gli astenuti, se fossero estratti dalla loro arrabbiata o inerte estraneità, voterebbero più volentieri per la destra – come il referendum sembra segnalare. Oltre che la proverbiale convinzione che gli italiani sono pigramente fascistizzanti (è vero e non è vero, ci furono altri fenomenali referendum). 


La grande, grandissima, manifestazione di Roma contro la carneficina di Gaza non era in contraddizione col risultato del referendum. Non era nemmeno una conferma della regola piazze piene-urne vuote. Era un’altra cosa. Guadagnare il voto e la partecipazione degli astenuti è il compito maggiore di un partito democratico che rifiuti più che può la demagogia. Difficilissimo, quando si è lasciato scavare per decenni la giovane talpa dell’immigrazione, qui come nel resto dell’occidente. Si sarebbe potuto davvero farne una risorsa? Chissà. Certo si sarebbe potuto arginarne i danni. Fare dei migranti una risorsa, dell’immigrazione un enorme problema: l’insidia è di fare il contrario, più o meno distrattamente. Mentre le fortune della scena politica, dopo tanti saliscendi avventurosi, stanno più ferme e i sondaggi le fotografano, la differenza fra il Pd e i 5 stelle misura essenzialmente, penso, il grado differente di responsabilità e di demagogia. Cioè una condizione, sia pur parziale, di mattina dopo. Dopo la sbornia, le sbornie. Poi viene l’ora di uscire a fare le cose. E toccare le persone, e farsi toccare. A te piace, no?


Ho una postilla così: quando in un partito si fa più evidente una divergenza, e le sue personificazioni, quello è il momento per mettersi accanitamente insieme. Non come in un naufragio, ma come quando si mettono a frutto le ragioni reciproche, e i reciproci sentimenti. Ti saluto e sono.  
 

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