(foto Ansa)

Piccola posta

Le Pussy Riot hanno centrato il bersaglio: mettere a nudo l'imperatore

Adriano Sofri

Dodici anni fa le attiviste erano già a processo. Oggi arriva la condanna in conumacia della cofondatrice Lucy Schtein: sei anni per un tweet risalente all'indomani dell'invasione dell'Ucraina che ironizzava sui torturatori russi e ceceni

Dodici anni fa, piuttosto entusiasta, riassumevo e commentavo le iniziative delle Pussy Riot. Pensavo già che avessero centrato il bersaglio. Erano a processo allora, agosto 2012. Nella sua dichiarazione finale, Maria Alëkhina rimandò a Nikolaj Berdjaev (1874-1948), il filosofo della libertà cristiano ortodosso, e al situazionista Guy Debord, il teorico della società dello spettacolo, morto suicida nel 1994. Nadezhda Tolokonnikova indossava una maglietta con un pugno chiuso e la scritta “NO PASARAN!”, discesa dalla Spagna di Dolores Ibárruri. La scandalosa canzone che avevano cantato e ballato nella cattedrale del Cristo Salvatore il 21 febbraio, in piena campagna – anche allora – per la rielezione di Putin, diceva: “Madre di Dio, Vergine, diventa femminista… Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin”. Furono condannate a due anni senza condizionale. Il tribunale sostenne che avessero “tentato di sminuire secoli di dogmi riconosciuti e venerati”.

Avevano centrato il bersaglio. Ora, non da ora, la Russia di Putin chiama la futura umanità a un’internazionale galvanizzata dal ripudio dell’lgbtq+ eccetera. Le tariffe sono cresciute. Oggi, in contumacia, perché era evasa in tempo dalla Russia penitenziaria travestita da fattorino delle consegne a domicilio, e finalmente cittadina islandese, Lucy Shtein, la cofondatrice, è stata condannata a Mosca a 6 (sei) anni per un tweet risalente all’indomani dell’invasione, 27 febbraio 2022. Aveva ironizzato sul vittimismo dei torturatori russi e ceceni in Ucraina. Condannata per notizie false e nocive al benessere dell’esercito russo. 6 anni per un tweet è un colpo che rivaleggia col mio regno per un cavallo. Inoltre, per 3 anni e mezzo non potrà amministrare un sito web: bisognerà convincere gli islandesi. In esilio, lei e le sue compagne si sono impegnate al fianco di Navalny e hanno raccolto fondi per l’Ucraina.

Loro e le ucraine di Femen avevano fatto buon uso delle proprie nudità, e di quelle opposte. Pussy riot, che significa la rivolta della fica, si erano chiamate prima Voinà, Guerra. Per esempio, avevano disegnato un gigantesco pene bianco sul fondo di un ponte levatoio a San Pietroburgo: il ponte si sollevava, il pene faceva altrettanto. Il nudismo del movimento Femen era nato a sua volta dalla denuncia del turismo sessuale in Ucraina.

Si trattava di mostrare che l’imperatore è nudo, e che è mutilato del senso del ridicolo. Oggi l’imperatore, cui gli americani in tempo di guerra hanno cortesemente comunicato che si stava preparando un attentato islamista a casa sua, dice che l’hanno macchinato gli americani, e che gli autori stavano entrando in Ucraina, dalla finestra. Il suo scagnozzo Lukashenko precisa che no, stavano andando nella sua Bielorussia, e che solo il suo intervento li ha dirottati. Roba che nemmeno Emiliano con Decaro. L’imperatore è nudo, i suoi scagnozzi sono nudi, e niente è così ridicolo come degli uomini di potere maturi malvissuti e nudi e carichi di missili iperbarici. Siano ringraziate, le Pussy: almeno su questo versante, possono rivestirsi.

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