(foto Ansa)

Piccola posta

Quanto è vicino l'Iran, quanto è lontana Odessa

Adriano Sofri

I droni iraniani, quelli ucraini. Le bombe e le cripte a Odessa. La resistenza iraniana e gli alleati dell'Occidente

Odessa, 2 gennaio. L’Iran è vicino, non fosse che per queste miriadi di droni Shahed messi a disposizione della Russia. Ho letto i giornali italiani, e l’Iran era vicinissimo. Anche in modi singolari. Per esempio i giornali raccontavano che, nel festeggiamento di Capodanno cui prendeva parte il noto sottosegretario Delmastro, i presenti, e fra loro parecchi agenti penitenziari, si mostravano reciprocamente le pistole. (Non ho niente contro i Capodanni con gli agenti penitenziari, io ne ho passati parecchi). La Stampa riferiva che il deputato di Fratelli d’Italia Pozzolo, la cui pistola ha sparato, quasi da sola, all’alba dell’anno nuovo, aveva da poco ottenuto il porto d’armi “per difesa personale, per via delle posizioni che ha assunto in difesa della resistenza iraniana”. Be’, ammirevole, no? Fosse per le posizioni sulla resistenza iraniana io meriterei un cannone d’assalto.

Lui ha già fatto fuoco, altri se lo augurano. Sempre sulla Stampa, lo storico israeliano Benny Morris, uomo non definibile “di destra”: “Sia Israele che l’America avrebbero dovuto da tempo colpire l’Iran, e spero ancora che ciò accada”. Qui ieri Giuliano Ferrara si è fermato appena un passo prima, il tempo di un punto interrogativo. E ho da un po’ di tempo la sensazione che Netanyahu voglia forzare la mano americana verso il regolamento dei conti con l’Iran, e che questo sia diventato l’orizzonte necessario del suo personale regolamento dei conti.
Non so se sia uno svolgimento senza alternative. So che oggi, in una guerra con l’Iran, Israele e Usa non avrebbero altro alleato che le ragazze iraniane: che è moltissimo, probabilmente non abbastanza.

Poi sono andato a camminare in centro. Cielo coperto, traffico normale. Alla Cattedrale della Trasfigurazione, per tre quarti recintata, è in piena vista lo squarcio del missile del 23 luglio. L’Italia è impegnata alla ricostruzione e al restauro, ma direi che non si sia mossa foglia, nonostante i propositi di istituti affidabili come la Triennale di Stefano Boeri e il Maxxi di Alessandro Giuli. Forse si aspetta che finiscano di distruggere, per economia.
L’interno è chiuso, e del resto le grandi navate sono il luogo più gelido dell’inverno. Mi hanno indirizzato alla cripta, due piani sotto il livello stradale, che è in realtà una vera cattedrale inferiore, più raccolta e probabilmente più bella. Non me n’ero mai accorto. Ospita la tomba del governatore generale, principe Michail Semënovic Voroncov, e di sua moglie Elizaveta Branickaja, nella leggenda amante di Pushkin, che nella realtà le dedicò poesie fra le due più belle. Le spoglie dei coniugi andarono qua e là secondo i sobbalzi della storia del Novecento, e alla fine tornarono.
C’erano tre donne che spolveravano e lucidavano altari e cornici di icone, già lustre d’oro e di baci devoti. Una, la più anziana, mi ha fatto un lungo e severo discorso, e sono stato ad ascoltarla con attenzione. Quando si è accorta che non avevo capito quasi niente, si è illuminata e mi ha dato la sua inequivocabile benedizione.

Chissà che cosa aveva pensato del discorso di Zelensky, imperniato sulla promessa di disporre, entro l’anno appena entrato, di un milione di droni di fabbricazione ucraina. Io ne avevo pensato che, almeno per i droni, sia bene guardarsi dalla sindrome “Ce le hanno date, ma gliene abbiamo dette”.

       

P.s. Devo però completare il mio pezzo di Capodanno, perché a Odessa due ore e mezza dopo l’inizio del 2024 è nata una bambina di nome Miroslava, pesante ben 3 kg e 600. I suoi genitori, Nadya e Vyacheslav, sono sfollati da Kherson, che Vyacheslav continua a frequentare da volontario. Nel nome della neonata c’è il mir di pace e di mondo – gloria e pace al mondo.

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