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Il ricordo di Antonio Russo e il nuovo grido dei ragazzi ceceni

Adriano Sofri

Il giornalista di Radio Radicale è stato ucciso ventitré anni fa in Georgia. L’anniversario della sua morte è presso che coinciso con un ennesimo episodio della terribile degenerazione della vicissitudine cecena: l'uccisione di un insegnante ad Arras

Il 16 ottobre del 2000 era morto, assassinato in Georgia, attorno a Tbilisi, Antonio Russo. Aveva 40 anni, era nato a Chieti. Giornalista, radicale – “radicale giornalista”, precisava Marco Pannella. Era andato, di proprio iniziativa, senza tessera dell’Ordine in tasca, perché non credeva nell’Ordine, nei posti più impervi della terra, si era fatto esperto di guerre. Era diventato dei più apprezzati corrispondenti di Radio Radicale, per la passione che metteva nel lavoro, la generosità e il coraggio, la simpatia per il suo prossimo. Ebbe un’avventura straordinaria in Kosovo, dove restò l’unico giornalista occidentale durante i bombardamenti della Nato, fu dato per disperso, si era mescolato ai kosovari in fuga dai rastrellamenti serbisti, in treno e a piedi, e ricomparve solo due giorni dopo a Skopje.

In Georgia era andato per seguire la cosiddetta Seconda guerra di Cecenia, guidata da Putin con la strategia della tabula rasa. (Nella guerra appena precedente era ancora al potere Eltsin). Il confine fra Cecenia e Georgia, nella valle del Pankisi, era popolato da gente cecena e da fuorusciti della guerriglia cecena. Là aveva cercato notizie e documenti sui crimini di guerra dei militari russi. Tutti gli elementi raccolti sulla sua morte portavano a una responsabilità dei servizi della Federazione russa. Poco prima, nell’estate, la Russia, con l’appoggio di Cina Cuba e Sudan, aveva insinuato una complicità radicale coi “terroristi” ceceni per far revocare al Partito Radicale Transnazionale il riconoscimento di Ong “con stato consultivo di prima categoria” all’Onu: tentativo sventato.

Nelle due notti fra domenica e martedì Radio Radicale ha ritrasmesso i servizi di Antonio Russo, e li ha conclusi con un dialogo bellissimo fra sua madre, tornata da un viaggio in Georgia sulle tracce del figlio torturato e abbandonato cadavere, e Massimo Bordin. La madre di Antonio è morta nel 2011. Si chiamava Beatrice Russo – come la ragazza del Postino di Neruda. Era una donna colta e libera. Si impegnò con dedizione a difendere la libertà di stampa e a provare la verità su Antonio, sapendo che non sarebbe successo. 
L’anniversario di Antonio Russo è presso che coinciso con un ennesimo episodio della terribile degenerazione della vicissitudine cecena: il ventenne che ha assassinato un bravo e coraggioso insegnante ad Arras, gridando, come da manuale, Allah u-Akbar. Un tempo, appena una generazione fa, i ragazzi ceceni si battevano gridando i nomi del loro paese e della libertà. 

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