Foto Ap, via LaPresse

Piccola posta

Ricordi di Gaza

Adriano Sofri

Quel viaggio di nove anni fa allo zoo della città tra rovine, animali affamati e un odore tremendo di putrefazione

Vorrei parlare d’altro, o quasi. I giornali di ieri avevano la fotografia di un soldato israeliano accucciato, con l’arma impugnata e nell’altro braccio un cagnolino maltese bianco, scampato al massacro del kibbutz. Le cronache dicevano di bambini uccisi coi loro animali. La strage degli innocenti è così completa. Chissà quale imbecillità spingeva dei governanti israeliani a chiamare “animali” i tagliagole di Hamas e a minacciare di trattarli “come animali”.

Sono stato a Gaza, nella guerra del 2014, per Repubblica, con Fabio Scuto. Il 5 agosto mandai il mio pezzo: “Non comincerò dai bambini: troppo facile. Comincerò da dove comincerebbero i bambini, dallo zoo di Gaza. Si trova in un sobborgo pesantemente bombardato e svuotato di abitanti. Scendiamo fino alle gabbie, aspettandoci di non trovare vivi gli animali. Da giorni nessuno viene fin qui. Le gabbie, sgangherate, ci sono, e ci sono gli animali. Un gibbone, nella prima: si muove lentamente di qua e di là, incerto fra accoglienza e offesa. C’è un odore tremendo di putrefazione, che guida lo sguardo sui cadaveri decomposti di due cuccioli. Le gabbie successive sono dei leoni: una coppia in una, un grosso maschio nell’altra. Erano celebri: lo zoo aveva importato le sue fiere dall’Egitto attraverso i famigerati tunnel. Portare leoni o tigri nei tunnel – e come fare con una giraffa? Ora i leoni devono essere affamati e assetati a morte, però non hanno un atteggiamento aggressivo: al contrario, si drizzano contro la rete come aspettandosi ristoro, o almeno una complicità all’evasione. Nella prossima gabbia c’è una piccola disgraziata arca di Noè, un sovraffollamento – uso il termine carcerario – di animali alla rinfusa: un imponente pellicano, che spinge verso di me il magnifico becco, un coccodrillo morto, lui, con la testa infilata dentro un tubo, e i resti spiaccicati di una cicogna. In un recinto accanto due struzzi mi vengono incontro con dignitosa fiducia. C’è una gabbia di volpi impazzite che corrono in cerchio e si scavalcano frenetiche, una di lupi macilenti. Era famoso, questo zoo raccogliticcio, anche perché un veterinario si era arrangiato a esaudire la passione dei bambini per le zebre dipingendo a strisce nere un paio di asinelli bianchi. L’ultima gabbia contiene una coppia di macachi, e solo quando la femmina penosamente si muove mi accorgo che ha un piccolo aggrappato alla pancia. Incredibile come somigli a un bambino. Non ho cominciato dai bambini, era troppo facile”.

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