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Trieste stretta fra la pretesa di anticonformismo e il conformismo senz'altro

Adriano Sofri

"Il rischio è che si chiuda in un’autocelebrazione identitaria", ha detto la brillante scrittrice ed editrice Federica Manzon intervistata dal Piccolo. Riflessioni a margine, con in mente l'avanguardia dell'antivaccinismo

Sabato il Piccolo aveva un’intervista di Mary Barbara Tolusso alla brillante scrittrice ed editrice Federica Manzon (Pordenone, 1981), sui suoi talenti e specialmente sul suo amore per Trieste. Di cui, a domanda, dice così pregio e difetto: “La sua aria anticonformista. Il rischio è che si chiuda in un’autocelebrazione identitaria, che nel passato si è costruita attraverso incontri e mescolanze in dialogo con mondi differenti, e questo ha generato il mito della città che conosciamo. Ma oggi mi pare piuttosto immobile, paralizzata soprattutto dall’inadeguatezza della sua politica”. Avrei approvato di cuore, se non ci fosse stato il biennio ’20-’21, quello della pandemia. Nella quale Trieste, non tutta, certo, ma una sua parte esuberante e invadente, ha offerto una prova di conformismo grossolano scambiato per anticonformismo dai suoi stessi adepti. Una prova che ha compromesso anche la singolarità geografica e storica della città, intrattenendo quegli adepti come il muss di Buridano fra l’illusione di una extraterritorialità e la lusinga di far da avanguardia all’antivaccinismo “italiano”. Trieste si mostrava stretta fra la pretesa di anticonformismo conformista che occupava piazza Unità e il conformismo senz’altro della politica cittadina affacciata sulla piazza. Se non fosse stato per l’incontro mano nella mano dei due presidenti, Mattarella e Pahor, a Basovizza nel luglio del 2020… Trieste e i suoi binari morti danno la sensazione di un vento freddo e selvatico che le scenda addosso dal Carso e finisca nell’aria di mare: la sua libertà e la sua apertura seguono anche il cammino inverso. Oggi, per esempio, una specie di vento di ponente che risalga Slovenia, Croazia, scavalchi il Danubio e costeggi il pezzo di confine fra Serbia e Ungheria, poi Romania, Moldavia, Transnistria, e arrivi dritto fino a Odessa: ci troverebbe la stessa aria di mare, la stessa mescolanza. Per strada sono 1.900 km. In linea d’aria, in linea di vento, sì e no la metà. Questo piacerà a F.M.
(I ministeri competenti, e le rispettive autorità portuali, stanno già provvedendo. Ma noi, noi senza-portafoglio, abbiamo le nostre carte da giocare).

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