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Greta e Zelensky insieme contro l'antropocene cui i missili russi danno manforte

Adriano Sofri

C'è da rallegrarsi per la visita che giovedì la giovane attivista ha compiuto a Kyiv, con una delegazione di personalità impegnate nella denuncia dei crimini ambientali russi nella guerra

Siccome ho una gran simpatia per Greta Thunberg e per la resistenza dell’Ucraina, mi sono rallegrato della visita che giovedì Greta ha compiuto a Kyiv, con una delegazione di personalità impegnate nella denuncia dei crimini ambientali russi nella guerra. E in particolare dell’“ecocidio” provocato dal sabotaggio della diga di Kakhovka. Greta ha oggi vent’anni e ha dato prova di rifuggire sia dall’integralismo che dall’esibizionismo. La sua posizione sull’aggressione all’Ucraina ne è una conferma. Il disastro dell’inondazione che dal Dnipro di Kakhovka ha sommerso la regione di Kherson così da riempire di cadaveri di umani e altri animali, di monnezza, di mine disancorate, di colera, fino il mare di Odessa, è un caso esemplare della definizione di “antropocene”. Tutta quell’acqua è venuta a ridosso dell’alluvione della Romagna, nella quale una precipitazione smisurata era caduta su un territorio ormai dimentico della fatica meticolosa degli scariolanti: e l’Italia è in pace. A Kakhovka, la diga minata fin dall’occupazione era un’arma di guerra nelle mani della truppa russa, che l’ha usata alla vigilia della controffensiva ucraina. La militarizzazione di una risorsa fisica attraverso la sua distruzione è solo uno degli esempi in cui la distinzione anestetica fra civile e militare si riduce fino a cancellarsi, com’è per la centrale nucleare di Energodar, nell’oblast’ di Zaporizhia, la più grande centrale “civile” d’Europa. Ieri le autorità russe hanno cortesemente informato per lettera il Consiglio di Sicurezza dell’Onu di non avere intenzione di far esplodere l’impianto. Se succederà, saranno stati gli ucraini autolesionisti, o il destino.

La devastazione ecologica prodotta dalla guerra fa retrocedere spaventosamente l’impegno a soccorrere il pianeta minacciato. Ma non è più un incidente, è un deliberato proposito. Fallita la penosa illusione di impadronirsi dell’Ucraina “col gesso”, senza colpo ferire né subire, la Russia di Putin ne ha fatto un’occasione vendicativa per prolungare il vecchio modo di vita e di uso dell’energia, la sua pressoché unica risorsa parassitaria e avvelenata. Le ha aggiunto il miraggio di minare e intossicare la concorrenza della terra nera ucraina e della sua necessità per sfamare buona parte del mondo – ancora di ieri è la dichiarazione di Lavrov che non vede alcuna ragione per rinnovare l’accordo sull’esportazione dei cereali ucraini dal Mar Nero.

L’Ucraina è il sottosuolo delle regioni orientali e della loro industria pesante, e il suolo della sua agricoltura. La Russia conta di tenersi il primo, che ha manomesso fin dalla sua invasione senza mostrine del 2014 e, in mancanza di meglio, distruggere il secondo. Il cambiamento del clima, il famoso antropocene cui i missili russi si accaniscono a dar manforte, farà di terre russe sterminate e finora assegnate al dominio dei ghiacci un enorme serbatoio per un mondo sempre più affamato e soffocato. Ancora ieri, i resoconti climatici riferivano di un’ondata siberiana di calore estremo. In questo giugno le temperature di gran parte della Russia asiatica hanno superato i 40°C: un record “mai registrato da quando si misurano le temperature siberiane, alla fine della Seconda guerra mondiale”.

Anche per questo, oltre che per la sua faccia così intelligente e simpatica, mi sono rallegrato della presenza di Greta Thunberg a Kyiv. Penso che abbia delle buone idee e degli ottimi sentimenti sulla guerra e sulla pace.

P.S. Giovedì sera Lilli Gruber ha ospitato, più a lungo del solito, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, e ha chiamato a interrogarlo Travaglio e Caracciolo. Travaglio gli è andato diritto in bocca, e così sia. Mi ha stupito Caracciolo (sono uno che distingue) che ha scelto di domandare a Kuleba, e quasi di chiedergli conto, dell’ipotesi prospettata da alcuni che l’intero impero russo sia la posta della guerra, e che in una sua eventuale spartizione la Siberia finisca diritta in bocca alla Cina – come Travaglio a Kuleba. Dunque l’Ucraina è favorevole a dare la Siberia alla Cina? Che cazzo di domanda, ho pensato. Che cazzo di domanda, deve aver pensato Kuleba, e ha risposto: “Io mi occupo della libertà dell’Ucraina”.