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“L'ultima parola” di Ilya Yashin, il gran oppositore di Putin che ha detto: basta

Adriano Sofri

È stato condannato lo scorso dicembre a 8 anni e 6 mesi per aver denunciato la strage di Bucha. La sua dichiarazione finale è uno dei discorsi più intelligenti, oltre che intrepidi, pronunciati in un aula di tribunale, e con la piena consapevolezza delle conseguenze

Care e cari lettori, ieri ho scritto qui sull’intervista di Tomas Venclova ripresa da Gazeta Wyborcza. Mi sono accorto solo dopo che era stata pubblicata, il 5 gennaio, dal portale “La nuova Europa”, erede della rivista “Russia cristiana ieri e oggi” (1960) e poi “L’altra Europa” (1985). Oltretutto, a differenza della mia, pressoché automatica, la sua traduzione è eccellente. 

In cambio, attingo alla dichiarazione finale – “l’ultima parola”, poslednee slovo, si chiama tecnicamente, e tetramente, così – di Ilya Yashin, condannato lo scorso 9 dicembre a 8 anni e 6 mesi per aver denunciato in aprile la strage di Bucha sul suo canale youtube. Il testo era stato interamente pubblicato anche dal Foglio del 7 dicembre, e commentato da Giuliano Ferrara pochi giorni dopo: “Il caso  Ilya Yashin, un monito per i nostri bravi negazionisti”. Non c’è dubbio che si tratti di uno dei discorsi più limpidamente intelligenti, oltre che intrepidi, pronunciati in aule di tribunali pregiudicati, e con la piena consapevolezza delle conseguenze. 

Yashin, 39 anni, è uno dei più coraggiosi oppositori democratici in Russia, già collaboratore di Nemtsov, a lungo amico-dissenziente di Alexei Navalny, cofondatore di Solidarnost’, deputato del distretto moscovita di Krasnosel’skij. Purtroppo non so abbastanza dell’attenzione riservata dalla leadership e dall’opinione pubblica ucraina all’opposizione interna alla Federazione russa, che mi augurerei alta. Del resto la scelta di Zelensky di tenere in russo alcuni suoi interventi sembra rispondere a questo proposito. 

Yashin sceglie efficacemente di rivolgersi direttamente, per nome e cognome, ai suoi interlocutori – i suoi giudici, lo stesso Vladimir Putin. L’ha fatto anche in passato, per esempio quando ha denunciato la brutalità criminale di Ramzan Kadyrov. Nel 2015, subito dopo l’assassinio di Nemtsov, Yashin aveva indicato in Kadyrov il responsabile e lo aveva invitato a riceverlo a Grozny e “a parlare dell’assassinio faccia a faccia, seriamente e professionalmente”. “E’ un tipo strano”, commentò Kadyrov. Poco dopo Yashin diffuse un rapporto di 65 pagine sulla “minaccia alla sicurezza nazionale” rappresentata da Kadyrov, accusato di rapimenti e torture, frodi elettorali a vantaggio di Putin, malversazioni, di aver formato un esercito privato di 30 mila armati (allora), i “kadyrovtsy” oggi così famigerati, e specificamente dell’assassinio di oppositori politici e giornalisti. Alla stessa stregua Yashin ha trattato il “cuoco di Putin” e capo della Wagner, Prigozhin. Un anno fa, Yashin aveva registrato un video in cui ingiungeva a Kadyrov di dimettersi: “Sta’ a sentire, Ramzan. Io sono nato e cresciuto a Mosca. Questo è il mio paese, vivo qui e non vado da nessun’altra parte. Ti dico chiaro e tondo che non ho paura di te e che ti disprezzo. Perché sono stati i tuoi scagnozzi a uccidere il mio amico Boris Nemtsov. Perché stai cercando di riportare il mio paese al medioevo. Perché sguazzi nell’oro e nel lusso a spese della Russia intera. Vedo che oggi il potere è dalla tua. Ma dalla mia c’è la verità, ed è lei che vincerà. E per ridicolo che ti sembri, ti combatterò usando solo mezzi legali. Perché io sono un uomo civile”. 

Alla fine del processo Yashin ha interpellato così la presidente della Corte: “Glielo dico apertamente, Oksana Ivanovna, anche lei mi ha molto colpito. Ho fatto caso con quanto interesse ha ascoltato l’accusa e la difesa, come ha reagito alle mie parole, come dubita e riflette. Per il regime lei è soltanto una rotellina del sistema che deve svolgere senza intoppi la sua funzione.

Ma io vedo davanti a me una persona viva, che la sera spoglia la toga e va a fare la spesa nello stesso negozio dove mia madre va a comprare la ricotta. E non ho dubbi che lei, proprio come me, è sconvolta da questa guerra, e prega che questo incubo finisca quanto prima... Certo non mi aspetto un miracolo, qui. Lei sa che io non sono colpevole, e io so quante pressioni lei riceve dal sistema. Ed è evidente che dovrà emettere una sentenza di condanna. Ma io non le porto rancore e non le auguro niente di male. E tuttavia, cerchi di fare tutto quel che dipende da lei perché non trionfi l’ingiustizia. Si ricordi che dalla sua decisione non dipende solo il mio destino personale, e che la sua sarà una sentenza contro quella parte della nostra società che vuole vivere in pace e in modo civile. Quella parte della società cui, forse, appartiene lei stessa, Oksana Ivanovna”. 

Quanto a Putin: “Vladimir Vladimirovic, guardando le conseguenze di questa guerra mostruosa, probabilmente lei stesso capisce ormai il gravissimo errore che ha commesso il 24 febbraio. Il nostro esercito non è stato accolto con un lancio di fiori. Ci chiamano boia e invasori. Ora il suo nome si assocerà per sempre alle parole ‘morte’ e ‘distruzione’. Lei ha causato una terribile sciagura al popolo ucraino, il quale, probabilmente, non la perdonerà mai. In realtà lei fa la guerra non solo contro gli ucraini, ma contro i suoi compatrioti. Lei manda nell’inferno delle battaglie centinaia di migliaia di russi, molti dei quali non torneranno a casa, ma saranno ridotti in cenere. Molti resteranno mutilati e perderanno la ragione per quanto avranno visto e provato. Per lei questa è solo la statistica delle perdite, cifre da mettere in colonna. Ma per la maggioranza delle famiglie è il dolore intollerabile della perdita di mariti, padri, figli. Lei toglie la casa ai cittadini russi. Centinaia di migliaia di nostri concittadini hanno lasciato la Russia perché non vogliono ammazzare ed essere ammazzati. La gente scappa da lei, signor presidente. Possibile che non se ne sia accorto? Lei mina le basi della nostra sicurezza economica. Riconvertendo la nostra industria alla produzione militare, fa tornare indietro il nostro paese. La nostra priorità sono di nuovo i carri armati e i cannoni, e la vita quotidiana conosce di nuovo povertà e ingiustizia. Ha dimenticato che questa politica già una volta ha spinto il nostro paese al collasso? E’ probabile che le mie parole risuoneranno come la voce che grida nel deserto, ma io la invito, Vladimir Vladimirovic, a fermare subito questa follia. Bisogna riconoscere che la nostra politica nei confronti dell’Ucraina è sbagliata, ritirare le truppe dal suo territorio e passare a una soluzione diplomatica del conflitto. Non dimentichi che ogni nuovo giorno di guerra significa nuove vittime. Basta”.

Basta, infatti.

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