la voce dei dissidenti

La Russia è in prigione e il silenzio è diventato una forma di protesta

Micol Flammini

Evgeni Roizman, ex sindaco di Ekaterinburg, era uno dei pochi critici del Cremlino rimasti liberi ed è stato arrestato ieri. Putin vuole cucire un paese a prova di guerra che condivida le sue idee e le sostenga

Fino a ieri, Evgeni Roizman, ex sindaco di Ekaterinburg, era uno dei pochi eminenti critici del Cremlino non in prigione, nonostante avesse usato contro la guerra parole decise, definendola “la più meschina, vergognosa e ingiusta che la Russia abbia mai combattuto”. Contro di lui erano stati aperti  tre procedimenti legali per aver screditato le Forze armate, e ieri è stato arrestato. Ekaterinburg è una città importante, detestata dai putiniani che la definiscono il centro dei “disgustosi liberali” e Roizman di questo centro è  l’animatore. E’ amico di Alexei Navalny, e quando il dissidente  fu incarcerato in molti pensavano a Roizman come nuovo volto simbolo dell’opposizione. Lui ha sempre declinato. Pavel Chikov, un avvocato difensore dei diritti umani, ha pubblicato una foto in cui compaiono: Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin, Andrei Pivovarov e Evegeni Roizman, tutti critici del Cremlino, tutti sullo stesso palco, tutti arrestati. Chikov commenta: “La mia Russia è in prigione”. 
La Russia  che è contro la guerra, e che ha la forza di dirlo, dal 24 febbraio o vive in esilio o è stata arrestata. In una delle ultime interviste che Roizman ha rilasciato aveva detto che non si aspettava che tutti i russi parlassero apertamente come lui, ma si accontentava del silenzio come forma di protesta, di non sentire parole a favore della guerra e di non vedere ostentati  i simboli dell’invasione come la Z. 

 

Il Cremlino è riuscito a cucire un paese a prova di guerra e al di là delle prime reazioni di sbigottimento da parte della popolazione russa. La giornalista americana nata in Russia Julia Ioffe, nell’ultimo numero della sua newsletter “Tomorrow will be worse”, analizza il fenomeno del dissenso e di come è mutata la reazione dei russi dall’inizio della guerra a oggi. Ai sondaggi russi è complesso prestare ascolto, quelli governativi hanno il compito di dire che Putin è in ascesa. Al Levada Center, uno dei pochi centri di analisi rimasti indipendenti,  gli intervistati, in un contesto di repressione crescente, potrebbero non sentirsi liberi di comunicare le loro vere preferenze. Tuttavia, nota Ioffe, quella che è nata come la decisione di un solo uomo, Vladimir Putin, che avrebbe comunicato le sue intenzioni di attaccare l’Ucraina  soltanto a una cerchia ristrettissima – il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, secondo alcune fonti, lo avrebbe saputo  due giorni prima o addirittura la sera stessa – ora sta diventando una decisione che appartiene a un intero popolo.

 

L’economia russa rallenta, ma per il momento i russi non sentono ancora il peso delle sanzioni, il Cremlino si prepara all’eventualità che inizino a sentirlo in inverno. Dale C. Copeland su Foreign Affairs mette bene in chiaro quanto il rapporto fra Putin e l’Europa sia fatto di un’interdipendenza asimmetrica che ha permesso a Mosca di mantenere i suoi guadagni, se una reazione da parte dei cittadini per le  ristrettezze economiche ci sarà, potrebbe esserci tra molto tempo. La possibilità  che i viaggi nell’Ue siano vietati ai cittadini russi sta avendo come effetto quello di indurire le loro posizioni. In Russia si sta creando un effetto “rally around the president”, così lo chiama Ioffe: un senso di raggruppamento attorno alle idee di Putin, che spinge i russi, anche quelli meno interessati e più spaventati,  a pensare: visto che si sta combattendo una guerra, seppure immotivata, è meglio vincerla che perderla. 

 

In un contesto in cui il dissenso è scomparso, i liberali sono in carcere o fuori dalla Russia, le voci critiche si esprimono in silenzio, e la voce di Putin per ora le sovrasta. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.