Luigi Bergamin e Cesare Battisti (Ansa) 

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Luigi Bergamin "delinquente abituale". Cosa non torna sulla sventata prescrizione

Adriano Sofri

Una circostanza che a suo tempo implicò una riduzione di pena diventa decenni dopo l’aggravante della delinquenza abituale? Ci scrive Angelo Piraino, segretario generale di Magistratura indipendente, Sofri risponde

Al direttore - Il dott. Sofri, nel ripercorrere la vicenda processuale del fondatore dei Proletari armati per il comunismo Luigi Bergamin, sodale di Cesare Battisti, critica il fatto che sia stato dichiarato “delinquente abituale”, nonostante abbia trascorso 44 anni della sua vita senza commettere reati, citando il diritto di ogni essere umano a essere perdonato, che ci è stato ricordato dal Santo Padre. Le riflessioni dell’autore dell’articolo sono state accurate, tanto che egli stesso afferma di essersi documentato, ma tuttavia scontano un errore di fondo: la dichiarazione di delinquente abituale non riguarda la storia del condannato dopo che ha commesso il reato, ma quella che lo precede. Nel caso in questione, evidentemente, il reato per il quale Luigi Bergamin è stato condannato con sentenza definitiva si colloca in una lunga serie. Che questa serie sia stata interrotta è certamente positivo, ma non può valere a far dimenticare la sua storia criminale.

Ritengo del tutto improprio, poi, accostare l’istituto della prescrizione al diritto al perdono. La prescrizione misura l’interesse dello stato a perseguire un crimine, ed è ancorata a parametri oggettivi, non è collegata al percorso di riabilitazione del reo, che può e deve essere fatto valere con appositi istituti dell’ordinamento penale.

Un’ultima precisazione, infine, mi preme effettuare. Luigi Bergamin è stato dichiarato delinquente abituale, su richiesta della procura, da un provvedimento motivato del magistrato di Sorveglianza di Milano, confermato dal tribunale di Sorveglianza e, in un ultima istanza, dalla Corte di cassazione. La vicenda è stata valutata e decisa da un totale di nove giudici, che hanno spiegato le ragioni della decisione, adottata con tutte le garanzie che il nostro ordinamento prevede. Attribuire tutto ciò a un singolo pubblico ministero, che ha svolto il compito che la legge gli attribuisce con scrupolo e coscienziosità si risolve in un artificioso argomentum ad hominem, che non fa onore a chi lo pone a base dei suoi ragionamenti.
Angelo Piraino
segretario generale Magistratura indipendente


Gentile dottor Piraino, il direttore mi trasmette la sua lettera, di cui ringrazio. Divido la risposta in tre punti, corrispondenti a quelli da lei sollevati. Sono profano, e vorrà riconoscermi un’attenuante generica. Comincio dall’ultimo punto: avrei svolto il mio argomento nel modo ad hominemad mulierem, direi, trattandosi di una magistrata. Avevo bensì citato i vari pronunciamenti, fino alla Cassazione, ma mi ero fermato sulla pm Adriana Blasco, colei che era stata indicata, ed elogiata, per nome e cognome da molti organi di stampa (non li elenco, le basterà cliccare su Google) come la decisiva autrice della mossa che ha sventato la prescrizione per Bergamin. Per esempio, ho davanti un articolo che riferisce l’“ostinazione” di Blasco, che “si accorse in fretta” dell’incombente prescrizione, e “ottenne in fretta e furia che il latitante venisse dichiarato delinquente abituale”. Né la sostituta Blasco né lei avete obiettato ai giornali un tale scialo dell’argomento ad mulierem.

Vengo al secondo punto. Mi è evidente la differenza fra il perdono di cui parla un Papa e la prescrizione di cui si occupa il codice, e l’avevo sottolineata. Lei mi ricorda che “la prescrizione misura l’interesse dello stato a perseguire un crimine”. Infatti, la Corte d’assise milanese che trattò per due volte il caso rigettando il ricorso della sostituta e decidendo all’opposto della Cassazione ultima, aveva sentenziato esattamente che “trascorsi non solo più di quaranta anni dai gravissimi fatti di reato, ma soprattutto più di trenta anni dall’irrevocabilità della pronuncia di condanna”, come vuole il legislatore “deve ritenersi venuto meno l’interesse dello stato all’esecuzione della stessa”.

E veniamo al punto essenziale, per me il più imbarazzante, perché insidia la stima che, fino a prova contraria, ho per lei. Il fatto è che ho la sensazione che lei abbia voluto prendersi gioco di me. Di me, cui sarebbe sfuggita la questione di fondo: “La dichiarazione di delinquente abituale non riguarda la storia del condannato dopo che ha commesso il reato, ma quella che lo precede”. Dunque mi sta dicendo che Bergamin non ha commesso altri delitti negli ultimi 44 anni, ma prima degli ultimi 44 anni? E la giustizia se n’è accorta 44 anni dopo? Il reato “continuato”, che a suo tempo implicò una riduzione di pena, diventa decenni dopo l’aggravante della delinquenza abituale? Stralunato, immagino il daffare della giustizia che dovrà rivedere tutte le fedine dei terroristi di mezzo secolo fa per aggiornarle con la certificazione di delinquenza abituale, dal momento che dei dediti alla lotta armata era raro, come dei tossicomani e dei topi d’appartamento, che lo facessero una volta sola. Non sa quanto sarei sollevato di aver di nuovo capito male.