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Che coraggio, il Papa. Ha ceduto al chiacchiericcio e l'ha ammesso

Adriano Sofri

Le cose che Francesco ha detto sull’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, di ritorno dal viaggio a Cipro e in Grecia, sono cose forti, senza precedenti. "Siamo tutti peccatori", e lo intende davvero. Ora che diranno gli scandalizzati perenni?

Il Papa ha fatto un altro viaggio ammirevole, e ha detto cose preziose sui migranti e sull’Europa. Poi, sull’aereo, dove la gravità si riduce fino ad annullarsi, ha detto cose forti, senza precedenti, sull’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, di cui aveva appena accettato le dimissioni. Ha detto: “Le piccole carezze, i massaggi che faceva alla segretaria, così sta la cosa. E questo è un peccato, ma non è un peccato grave. I peccati della carne non sono i più gravi. Così Aupetit è un peccatore come lo sono io, come è stato Pietro il vescovo su cui Gesù ha fondato la Chiesa e che lo aveva rinnegato. Come mai la comunità del tempo aveva accettato un vescovo peccatore? Era una chiesa normale, nella quale si era abituati a sentirci tutti peccatori, umili. Si vede che la nostra Chiesa non è abituata a dire vescovo peccatore, siamo abituati a dire che è un santo, il vescovo. Il chiacchiericcio cresce e toglie la fama di una persona. Il suo peccato è peccato, come quello di Pietro, il mio, il tuo. Ma per il chiacchiericcio, un uomo al quale hanno tolto la fama così non può governare. Questa è una ingiustizia. Per questo ho accettato la rinuncia di Aupetit: non sull’altare della verità, sull’altare dell’ipocrisia”. 

Sono molti e contrastanti i pensieri sollevati da queste parole, del resto pronunciate in un tono affabile e sicuro. Ora se lo mangeranno, si pensa: un’alleanza trasversale di clericali bigotti e ragionevoli femministe, i primi scandalizzati – nello scandalo fanno il nido – da un Papa che dice “siamo tutti peccatori” e intende che davvero siamo tutti peccatori. Le seconde, forse, indignate dalla comprensione per un rapporto diseguale come quello fra un uomo in alto nella gerarchia e una donna con un ruolo di servizio. E poi si pensa: ecco, riviene fuori il gesuita e la passione per la casistica, come nei famigerati malati manuali dei confessori: le carezze, quante, e in che parti, e quanto pesanti…? E i massaggi, una mano, due…? E poi la frase così netta su Pietro peccatore, rinnegatore. (C’è poi il peso schiacciante degli abusi commessi al riparo della chiesa contro i minori, e anche di questi Francesco ha parlato a suo modo: ma non sono peccati della carne, sono crimini contro le persone che li hanno subiti). 

Si può pensare infatti che il Papa Francesco si lasci tradire dalle parole, nei voli di ritorno. Un’agenzia d’informazione che si dichiara cattolica, abita in via della Conciliazione, e proclama la missione di divulgare le vere parole del Papa, martedì, in un lungo pezzo firmato, aveva provveduto a emendare i passaggi più avventati: mutando le “carezze” in “carenze”, i “massaggi che l’arcivescovo faceva alla sua segretaria” in “messaggi che inviava”. Sicché il bravo arcivescovo Aupetit risultava destituito per carenze e messaggi. Restava l’ingombro della frase successiva: “I peccati della carne non sono i più gravi”. Il redattore dell’agenzia ha semplicemente tolto il “non”. I peccati della carne sono i più gravi. E tutto è tornato a posto. L’avvocato del diavolo rideva. È vero, suscitano pensieri contrastanti le parole di Francesco. A me sembra che li superi e li riscatti tutti la conclusione: “Per questo ho accettato la rinuncia di Aupetit: non sull’altare della verità, sull’altare dell’ipocrisia”. Il Papa, sia pure da un corridoio d’aereo, lontano dalla cattedra, dichiara di aver ceduto al chiacchiericcio e alla sua ingiustizia, e di averlo fatto sull’altare dell’ipocrisia. Chissà se ci sono ancora orecchie capaci di sentire la coraggiosa enormità di queste parole.

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