Statua di Omero a Friburgo (Wikimedia Commons)  

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A Oxford "Omero va ridimensionato". Può uno scoglio ridimensionare il mare?

Adriano Sofri

Molte e molti grandi nomi della cultura hanno voluto fare i conti con l’intera storia propria e del genere umano, fino a decretarne l’intero torto: fanciulli saputi come vecchietti, che il "torto" lo mettono all'indice

Alle accuse di pretendere una superiorità, la cultura occidentale ha un’estrema difesa da opporre: che la sua sostanza ultima sta nella capacità di negarsi. Giulio Meotti riferiva ieri qui dell’obiezione scandalizzata di una studentessa della Columbia University a una lezione di Andrea Marcolongo: “Come puoi leggere Omero, se era razzista e misogino?”. E della saggia reazione di Marcolongo, che ha mostrato, o ha simulato di mostrare, di non credere alle proprie orecchie. È un po’, se posso permettermi un’associazione grossolana, come sentirsi rinfacciare il microchip iniettato col vaccino. Meotti, in un elenco raccapricciante, annota che a Oxford Omero “va ridimensionato”: meraviglioso paradosso (come può uno scoglio ridimensionare il mare). 

Simone Weil scrisse dell’Iliade come del poema della forza e della sventura, per accostarlo, nella compassione, al Vangelo, compimento del genio greco. Rachel Bespaloff, negli stessi anni travolti, chiamò invece libri ispirati l’Iliade e la Bibbia. Per ambedue il dialogo fra Achille e Priamo sul cadavere scempiato di Ettore mostrava che il destino di sventura comune degli umani è il solo fondamento della vera uguaglianza. Edoardo Rialti che della coincidenza di pensieri e destini fra le due filosofe, l’una all’altra sconosciuta, scrisse qui, ricordò la sentenza di Weil: “Romani ed Ebrei sono stati ammirati, letti, imitati con gli atti e con le parole, citati ogni volta che c’era da giustificare un crimine, nel corso di venti secoli di cristianesimo”. Per Giacomo Leopardi è meraviglioso che “appena si potrebbe distinguere se Omero fosse greco o troiano, o d’una terza nazione”.

Più prosaicamente, e quasi ingenuamente, Karl Marx si era chiesto come fosse possibile “Achille con la polvere da sparo e il piombo? O, in generale, l’Iliade con il torchio tipografico o addirittura con la macchina tipografica? (…) Ma la difficoltà non sta nell’intendere che l’arte e l’epos greco sono legati a certe forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è rappresentata dal fatto che essi continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono, sotto un certo aspetto, una norma e un modello inarrivabili. Un uomo non può tornare fanciullo o altrimenti diviene puerile. Ma non si compiace forse dell’ingenuità del fanciullo e non deve egli stesso aspirare a riprodurne, a un più alto livello, la verità? Nella natura infantile, il carattere proprio di ogni epoca non rivive forse nella sua verità primordiale? E perché mai la fanciullezza storica dell’umanità, nel momento più bello del suo sviluppo, non dovrebbe esercitare un fascino eterno come stadio che più non ritorna? Vi sono fanciulli rozzi e fanciulli saputi come vecchietti”. 

Molte e molti grandi nomi della cultura hanno voluto fare i conti con l’intera storia propria e del genere umano, fino a decretarne l’intero torto. Una cultura che si pretenda altra all’ingrosso e metta all’indice il torto dopo averlo ridotto alla propria meschinità è così ridicola che forse prevarrà davvero. Ci sono fanciulli saputi come vecchietti.

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