Massimo Zamboni (Ansa) 

piccola posta

La nostalgia che riscatta nelle parole di Massimo Zamboni

Adriano Sofri

Il musicista e scrittore militante ha presentato il suo libro "La trionferà", storia del comune di Cavriago: nel 1919, sì e no 4.500 abitanti, diede il suo sostegno alla rivoluzione comunista. Qualche riflessione su nostalgia e identità

Massimo Zamboni ha presentato a Firenze mercoledì sera il suo nuovo libro, bel libro, bel titolo, La trionferà (Einaudi), che fa la storia gloriosa e affabile, e tuttora vigile, di Cavriago, comune a 7 chilometri e mezzo da Reggio Emilia. Nel 1919, quando aveva sì e no 4.500 abitanti, Lenin ne lesse il nome, con la notizia del suo sostegno alla rivoluzione comunista, su una copia fortunosamente pervenuta dell’Avanti!, lo cercò invano sull’atlante, e dichiarò che se gli operai di “un piccolo paese, evidentemente, perché non si trova sulla carta geografica” erano così intransigenti e risoluti, “possiamo dire a buon diritto che le masse italiane sono per noi, che le masse italiane hanno capito cosa sono i socialisti russi”.

Zamboni, musicista scrittore e militante, ha detto notevoli parole sull’attaccamento alla nostalgia, che quando è buona riscatta anche le cose poco buone che ricorda. Vorrei fare un’osservazione laterale, a proposito di una versione speciale della nostalgia che non riguarda le cose che si sono vissute e perdute, ma le cose che hanno vissuto e perduto gli antenati. (Forse anche a Cavriago è ora così). Mi pare che questa nostalgia appartenga a tanta parte delle generazioni di figli e nipoti delle vittime e dei contemporanei della Shoah, e decida del loro senso di identità. E che, in una forma così diversa che può farla apparire paradossale, appartenga anche ai figli e ai nipoti, ai nipoti di più, degli immigrati arrivati alla terza generazione. Per questi nipoti la nostalgia non è il ricordo vivo di ciò da cui vengono, bensì il ricordo scoperto e ricostruito di ciò da cui vennero madri e padri e nonni, che quel ricordo dovettero trascurare nella fatica di assomigliare al nuovo mondo. (L’islamismo è la forma malata di quella identità reinventata). Siccome i migranti sono tanta parte del nostro tempo, la nostalgia, insieme alla combinazione indigena di longevità e rapidità dei cambiamenti, ha un gran futuro. Il ritorno come resistenza al presente. Forse è già nostalgia di quel futuro.

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