Episodio 1

Oltre il Muro. Del suono

Trent'anni fa crollava il Muro di Berlino, costruito nel 1961. In quei 28 anni la capitale tedesca non era stata solo l'epicentro della Guerra Fredda ma anche una fucina di idee e musica. Viaggio a puntate con Gianni Maroccolo, Enrico Ruggeri, Massimo Zamboni

Nicola Imberti e Enrico Cicchetti

Episodio 1. IL MURO

Nelle prime ore del 13 agosto 1961 la Repubblica democratica tedesca interruppe tutti i collegamenti tra Berlino est e ovest. I soldati della Ddr iniziarono a costruire il Muro, quel confine di cemento e filo spinato che avrebbe attraversato tutta la città, dividendo in due la capitale e la vita dei suoi abitanti per i successivi 28 anni. Tre musicisti italiani ci raccontano la loro Berlino di quegli anni: una capitale europea ferita e spezzata, nella quale il Muro è ancora presente e i due settori non possono essere attraversati liberamente. Ma anche una città piena di stimoli, di memorie, ancora capace di accendere l'immaginazione.

 

Questo è il primo di tre episodi del nostro viaggio nella Berlino di ieri e di oggi con Gianni Maroccolo, Enrico Ruggeri e Massimo Zamboni.

Guarda gli altri due episodi:


    

Oltre il Muro. Del suono

L'11 novembre 1989 Mstislav Rostropovich è a Berlino, la città che più di altre rappresenta e riassume le lacerazioni, il dolore, la fatica della sua intera vita. Chi non ha molta dimestichezza con la musica classica non sa, probabilmente, che Rostropovich è uno dei più grandi violoncellisti di tutti i tempi. Di certo non lo sanno molti di quelli che lo circondano. Ci sono ragazzi, bambini, signore elegantemente impellicciate, compassati signori in paltò, giornalisti e fotografi. Rostropovich è seduto su una sedia da ufficio. E suona come mai ha fatto prima. La location, infatti, non è una istituzionale sala da concerto. Il violoncellista di origini russe naturalizzato americano, ha scelto di esibirsi all'aperto, su una striscia di terra. Alle sue spalle c'è un enorme disegno di Topolino. Alle sue spalle c'è ciò che resta del Muro di Berlino.

  

Due giorni prima è accaduto quello che Rotrospovich, forse, non aveva mai immaginato. Berlino Est e Berlino Ovest hanno improvvisamente smesso di esistere. Non a caso, accanto a Topolino, una scritta rossa recita “wilkommen in Ost-Berlin”, ma la parola “Ost” è stata cancellata con una “x” nera. Non c'è più necessità di fare distinzioni, di marcare distanze, l'unificazione è iniziata. Di quel giorno Rostropovich racconterà: “Quel maledetto muro ha diviso la mia vita, è stata una lacerazione per il mio cuore. Nel 1974 l'Unione Sovietica mi ha buttato via come uno straccio, prima di allora non potevo suonare a Berlino Ovest, dopo non potevo andare a Berlino Est. Quando il muro è crollato la mia vita si è riunita. Non volevo suonare per la gente, ma per ringraziare Dio di quello che era accaduto. Quando sono arrivato lì ho dovuto chiedere in prestito una sedia a un abitante di Berlino. Ho suonato arie con accordi maggiori perché ero felice, la mia vita si era riunita. Poi ho visto un giovane e ho pensato che per quel muro erano morte molte persone. Allora ho suonato un'aria in re minore. Alla fine quel giovane si è messo a piangere”.

  

Victor Hugo sostiene che la musica esprime “ciò che non può essere detto e ciò che non può essere taciuto”. È stato così per Rostropovich quell'11 novembre di trent'anni fa. Ma, prima di allora, la musica ha raccontato più e, forse meglio di altre forme di comunicazione, la Berlino della Guerra fredda.

  

In occasione dell'anniversario della caduta del Muro abbiamo deciso di partire da qui. Chiedendo a tre musicisti che in diversi modi sono stati “segnati” dalla Berlino pre e post 1989 di raccontarci il loro impatto con la città, con ciò che rappresentava, con i suoni che lì nascevano. Di raccontarci di come la musica è stata capace di superare il muro e se, e come, ha contribuito a farlo crollare.


 

I protagonisti

Gianni Maroccolo

Bassista, produttore musicale, classe 1960. A Berlino arriva, nel 1984, come bassista dei Litfiba, gruppo che ha contribuito a fondare quattro anni prima e con il quale è stato tra i protagonisti della scena New wave italiana. Il concerto del 1984, che è stato pubblicato anni dopo nella raccolta Litfiba Rare & Live, anticipa il primo album in studio della band, Desaparecido (1985). Fin dall'inizio, infatti, i Litfiba danno molta importanza alle esibizioni live e suonare al Loft di Berlino diventa un'occasione unica. Maroccolo è probabilmente il componente del gruppo che più subisce il fascino della musica tedesca di quegli anni (il cosiddetto “krautrock”) e non sa che, qualche anno dopo, la sua strada si incrocerà con quella di Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti. Nel 1989, anno della caduta del muro, lascia i Litfiba. Nel 1990 produce e partecipa alla realizzazione del quarto e ultimo album dei Cccp, Epica Etica Etnica Pathos. Nel 1992 fonda i Csi. 

  

   

Massimo Zamboni

Chitarrista, classe 1957, è stato, insieme a Giovanni Lindo Ferretti, il fondatore dei Cccp e, successivamente, dei Csi. Un percorso musicale che, anche dal punto di vista degli acronimi, ripercorre la storia di quegli anni. I Cccp (sigla cirillica che sta per Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) nascono a Berlino nel 1981 dall'incontro tra Massimo e Giovanni. Il primo ha 24 anni, è un chitarrista ma non è arrivato a Berlino per suonare. Come racconta nel libro dedicato a quell'estate (“Nessuna voce dentro. Un'estate a Berlino Ovest”, Einaudi, 195 pagine, 17 euro) è alla ricerca della sua voce. E la trova, in maniera del tutto inaspettata in un ragazzo un po' più grande di lui, 28 anni, che però viene dalla sua stessa terra: l'Emilia “paranoica” nella quale faranno ritorno pronti a iniziare un viaggio che durerà fino al 2000. Nel 1990 dopo la caduta del muro i Cccp si sciolgono e nascono i Csi (acronimo che sta per Consorzio Suonatori Indipendenti ma ricorda la Comunità degli stati indipendenti creata da nove delle quindici ex repubbliche sovietiche, compresa la Russia). Nati a Berlino come Cccp, Massimo e Giovanni si dividono, per sempre, sempre a Berlino, diciannove anni dopo. Tornati nella città che li aveva fatti incontrare per incidere un nuovo disco, decideranno invece di dirsi addio. Intervistato da Repubblica Ferretti descriverà quella separazione così: “Io sono uno che alla fine della giornata deve fare quadrare il bilancio, sono un tipo complesso, per questo chiedo agli altri di starmi lontano. Forse in questo Berlino mi assomiglia. A me la nuova città piace moltissimo. Gli altri dicono che si sta rovinando, dicono che anch'io mi sto rovinando”.

   

  

Enrico Ruggeri

Cantautore, classe 1957, il suo rapporto con Berlino è “mediato” dalla passione per due grandi mostri sacri della storia del rock: Lou Reed e David Bowie. Per entrambi Berlino è la città della risurrezione dall'abisso. Lì, nel luogo probabilmente più inospitale del mondo, tra le macerie di un passato che non c'è più, tra i fantasmi di un presente che i giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck raccontano senza censure in “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, con un futuro su cui incombe il peso di una guerra fredda, Reed e Bowie creano probabilmente i loro migliori album. Sicuramente i più intensi. Ruggeri, che nel 1977 ha fondato i Decibel con i quali ha compiuto il percorso dal punk alla New wave, guarda più a Londra che a Berlino. Ma non può evitare di fare i conti con ciò che artisticamente sta succedendo nella città del muro. Sullo sfondo anche il suo rapporto molto particolare con la Russia. Negli anni in cui cade il muro di Berlino è spesso a Mosca dove viene invitato a suonare e tiene numerosi concerti. Nel 1989 pubblica Contatti, un album con tre inediti orchestati dalla filarmonica di Mosca. In copertina una foto con due cabine telefoniche e la scritta in cirillico “telefono pubblico”. A sinistra Ruggeri, a destra un militare russo. Il legame indissolubile con Lou Reed e Bowie ha segnato anche gli ultimi lavori di Ruggeri. Nell'album Alma, la canzone “Forma 21” è una “traduzione” in musica del racconto che la moglie, Laurie Anderson fece degli ultimi momenti di vita di Lou Reed. “Lettera dal Duca” è invece il brano che i Decibel hanno portato al Festival di Sanremo nel 2018. Il riferimento è ovviamente al “duca” Bowie. Il video della canzone è stato girato Hansa Studios di Berlino. Il luogo che più di altri rappresenta cosa ha significato la musica per Berlino e Berlino per la musica.