"Neon rosso", un'opera di Renzo Vespignani, marito di Netta (Ansa)  

Piccola Posta

Netta Vespignani, esuberante e allegra. Maestra d'arte

Adriano Sofri

La pittrice e gallerista è scomparsa mercoledì, dopo una vita di impegno civile e artistico, che ha attraversato i sommovimenti della sinistra di fine anni 60

Mercoledì Duccio Trombadori ha scritto che era morta Netta Vespignani. Forse non si farà mai una storia dei rapporti fra la nuova sinistra dalla fine degli anni 60 e gli artisti, della pittura, della scultura, del cinema, della letteratura, del teatro. Tanti sono morti, e hanno lasciato solo qualche pezzo dei loro ricordi. Gli artisti avevano voglia di partecipare a quel sommovimento, a volte l’avevano aspettato e precorso, o anche semplicemente non volevano restare indietro, nell’impegno civile come nel mercato. Noi, gli aspiranti rivoluzionari, avevamo lì la fonte principale di finanziamento e di credito culturale. Poi c’era il mercato: passavano per le nostre mani opere d’arte di gran nome e pregio, venivano svendute sui due piedi per il prezzo d’acquisto della carta da volantini, gli acquirenti facevano fortune. 

 

A Roma fra le persone che ci introdussero nel mondo dell’arte furono particolarmente importanti Netta Vespignani e Plinio De Martiis. Frequentai Netta, insieme a Michele Guidugli che ho sentito ieri addolorato, al tempo del “Fante di Spade”, era formidabile, autorevole, schietta, sbrigativamente generosa. Bella in modo quasi sfrontato, come Renzo Vespignani la ritrasse infinite volte. L’accoglienza di Renzo era riservata quanto era clamorosa quella di Guttuso, per dire dei due grandi nomi di comunisti e di presunti rivali. Venni via con delle bellissime incisioni di Renzo, che era lui stesso un uomo bello. Non ho di lui che delle illustrazioni in libri come quelle, splendide, per tutti i racconti di Kafka, Feltrinelli 1957.

 

E un volume sulla mostra del 1975 col grande ciclo “Tra due guerre”: l’Italia e il mondo della retorica marmorea e del disfacimento di corpi umani, di città e case, di casacche. Lì, in un testo ammirevole di intelligenza storica e poetica, Vespignani scriveva una frase esemplare della sua discrezione nei confronti dello zelo impegnato: “Ho dovuto rileggere troppo D’Annunzio per arrischiarmi a cantare il volo di una Nike, anche se di una Nike operaia”. 

 

Netta era esuberante e allegra, aveva da fare e noi anche, andava al sodo. Avevamo amici in comune, Moravia, Pasolini, alcuni dei suoi artisti diventarono nostri amici, Schifano, Tano Festa e soprattutto, per me, Franco Angeli, e poi Kounellis e, tutta la vita, Enrico Castellani. Poi Netta avrebbe lavorato con passione e profondità al suo archivio del Novecento, della Scuola romana, alla nuova galleria in via del Babuino, alle imprese che ha ricordato ieri con commozione Duccio Trombadori. Duccio dice di non averne avuto che rade notizie da anni, che si era chiusa in se stessa. Notizia che bruscamente stupisce chi ne conservi quel ricordo luminoso e irruento. Lo stupore non dura, del resto: si fa silenzio.

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