Il presidente francese Emmanuel Macron 

Piccola Posta

I ripensamenti sull'Islam politico e i cinque assi della riforma di Macron

Adriano Sofri

“Abbiamo lasciato fare. Wahabismo, salafismo, Fratelli musulmani e altre correnti che qualcuno all’inizio ritenne pacifiche”. Il vaste programme dell’“islam dei Lumi” che ha in mente l’Eliseo

Venerdì Emmanuel Macron ha tenuto a Les Mureaux, negli Yvelines, Île-de-France, un discorso sulla Francia laica (“Se la spiritualità appartiene alla sfera di ciascuno, la laicità riguarda tutti noi”) e il “separatismo” islamista così impegnativo e ambizioso che l’attenzione dopotutto ridotta che i media gli hanno dedicato mi pare avere un’unica spiegazione: che non credano che farà, lui e il suo governo, quello che promette, in particolare nella legge che presenterà il prossimo 9 dicembre. Suggerisco al giornale, che ne ha dato notizia sabato, di pubblicare il testo del discorso di Macron. Esso solleva questioni diversamente sentite in Italia, che ha un’altra storia e un altro linguaggio, ma non poco influenti. 

 

 

Macron ha presentato i “cinque assi” portanti delle nuove misure, frutto di “un lavoro metodico durato quasi tre anni”. Lo ha fatto in coincidenza col processo per la strage del 2015 a Charlie Hebdo, il recente attentato che intendeva commemorarla e il manifesto della redazione. “Separatismo” è il nome che Macron preferisce impiegare piuttosto che “comunitarismo”: esso evoca “la costituzione di una controsocietà che si manifesta nell’abbandono della scuola da parte dei bambini e nella crescita di pratiche sportive e culturali ‘comunitarie’ che mascherano l’insegnamento di princìpi discordanti dalle leggi della Repubblica.

 

È l’indottrinamento, attraverso il quale passa la negazione dei nostri principii, l’uguaglianza fra donne e uomini, la dignità umana”. La separazione attraverso una controsocietà è il primo passo di un cammino il cui traguardo è “prendere il controllo, finalmente completo, della società”. Le sue tappe sono il rigetto della libertà d’espressione, della libertà di coscienza, del diritto alla blasfemia. “Dobbiamo dire che abbiamo lasciato fare, da noi come all’estero. Wahabismo, salafismo, Fratelli musulmani e altre correnti che qualcuno all’inizio ritenne pacifiche sono via via degenerate e si sono radicalizzate”, per esempio rispetto all’uguaglianza donne-uomini, e valendosi di finanziamenti stranieri, di un indottrinamento importato dall’estero.

 

Qui Macron pronuncia per la prima volta la parola “intimità”: “Hanno colpito il nostro territorio nella sua intimità”. Una parola così impegnativa e apparentemente fuori luogo vuole capovolgere il sospetto o l’accusa esplicita che da musulmani, e non solo da loro, può esser mossa contro la Repubblica che invade territori privati e intimi come le scelte personali di abbigliamento, di esposizione di simboli di fede, di gesti fisici – il rifiuto della stretta di mano, il rifiuto della piscina mista – di esclusioni educative. Sono due “intimità” che si confrontano.

 

Fra le decisioni annunciate da Macron spicca, a partire dal 2021, l’obbligo della scuola francese per i bambini dai tre anni in su, salve circostanze sanitarie ineludibili, in polemica con l’insegnamento a domicilio che può favorire l’indottrinamento fanatico. E’ il punto sul quale più forti si levano le proteste, anche di voci non musulmane persuase della bontà dell’istruzione famigliare (è un tema discusso anche da noi, sia pure senza un riferimento all’islamismo): sono 50 mila, e in costante aumento, in Francia, i bambini in età scolare coinvolti nell’istruzione a domicilio. Macron si difende dall’obiezione evocando un’altra parola, anzi due, cui la Francia assegna un valore peculiare, cittadino e nazione: “Noi non siamo una società di individui. Noi siamo una nazione di cittadini. Questo cambia tutto. S’impara a essere cittadini, lo si diventa. E’ questione di diritti e di doveri”

 

 

Le reazioni al discorso sono state piuttosto scontate. Da sinistra, Mélenchon, alcuni verdi, viene l’accusa di un’ossessione anti islamica e di una ricerca di diversivi alla crisi sanitaria e sociale. Da destra, qualche consenso centellinato ma l’accusa di moderazione e di opportunismo nella denuncia dell’immigrazione. In Egitto, la famosa facoltà di al Azhar ha senz’altro tacciato il discorso come “razzista” e ignorato, come d’abitudine, ogni distinzione fra islam e islamismo. Anche la parola “amalgama” è abbastanza estranea al nostro lessico e centrale in quello francese; Macron ha insistito sul rifiuto di confondere islam e politica jihadista, compresa un’interpretazione dell’islam come un primo passo – una droga leggera, diciamo – verso l’islamismo militante.

 

E ha ricordato (forse troppo sobriamente, ma abbastanza perché da destra gli si rinfacciasse la colpevolizzazione) che “noi siamo un paese che ha un passato coloniale e dei traumi non sempre regolati con fatti che stanno alla fondazione della nostra psiche collettiva, del nostro progetto, del nostro modo di vedere noi stessi. La guerra d’Algeria ne fa parte…”. E, ricorrendo ripetutamente a una parola carica come “riconquista”, ha annunziato che si tratterà di un’opera di anni e anni: “Dobbiamo riconquistare tutto ciò che la Repubblica ha lasciato fare e che ha portato una parte della nostra gioventù o dei nostri cittadini a essere attratta da questo islam radicale. E dobbiamo tornare sui nostri traumi e le nostre inadeguatezze…”.

 

Non ho sufficiente confidenza con la lingua del dibattito politico francese, apprezzo che si pronuncino due parole per “razzismo” e “antisemitismo”, e noto come Macron abbia impiegato, dove sarebbe stato tentato di parlare del bene e del male, due più addomesticati comparativi come il meglio e il peggio. Il bene e il male pretendono un’assolutezza morale, il meglio e il peggio una conveniente relatività. Resta, al lettore italiano, cittadino di una repubblica dalle iniziali più minuscole, l’impressione di un bilico fra intransigenza civile e invadenza statale. Non si legge senza un petit frisson la frase: “Questo vuol dire di fatto fare rientrare la Repubblica nel concreto delle vite”. 

 

Misure come lo scioglimento di associazioni strumentali tese all’indottrinamento e al reclutamento, come il ripudio della pratica di accogliere da paesi musulmani – Algeria, Marocco, Turchia, espressamente nominati – gli imam e i muezzin salmodiatori e gli insegnanti di arabo, come l’impedimento ai colpi di mano jihadisti per impadronirsi delle moschee, come il rifiuto di finanziamenti stranieri incontrollati, sono ragionevoli, ed è forse realistico che serva loro una nuova legge a tanta distanza da quella del 1905. Come valutare però il proposito, sia pure accompagnato da molte cautele, che Macron formula come “quarto asse della strategia che vogliamo perseguire in questo risveglio repubblicano, che consiste nel costruire finalmente un islam in Francia che possa essere un islam dei Lumi /des Lumières/”? Vastissimo programma, no?

 

Altra cosa è l’intenzione dichiarata di restituire alla Francia degli studi il peso che ebbe nella conoscenza delle civiltà musulmane, nella quale è stata superata da altre scuole e altre storie, soprattutto anglosassoni. Dice Macron: “Ciò che ho descritto non sarà lo stato a farlo, in virtù del principio stesso di separazione, toccherà al Consiglio francese del culto musulmano. Ma io gli faccio fede ed è un’immensa responsabilità che noi gli confidiamo. Ma allo stesso tempo, ho detto loro col ministro due giorni fa, è immensa la pressione che noi eserciteremo su di loro, perché non abbiamo il diritto di fallire”. Ha detto anche, a proposito di cose intime: “Ça ne se légifère pas… Ça se démontre”.

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