Piccola posta

La smisurata suberbia degli ignoranti

Adriano Sofri

Non capire le cose per molti non è più imbarazzante e anzi è quasi un vanto. Rileggere Dostoevskij 

Giusta è l’osservazione fatta da uno scrittore ancora un anno fa, che la incomprensione di un certo genere di cose si riteneva prima una vergogna perché testimoniava direttamente della ottusità del soggetto, della sua ignoranza, dell’insufficiente sviluppo della sua mente e del suo cuore, della debolezza delle sue capacità intellettuali. Adesso invece la frase: “Io non lo capisco”, viene pronunziata quasi con superbia, per lo meno con solennità. Come se uno con questa frase salisse subito sopra un piedistallo agli occhi degli ascoltatori e, quel che è più comico, anche ai propri occhi, senza vergognarsi. Adesso le parole: “Io non capisco nulla di Raffaello”, oppure “Ho letto a bella posta tutto Shakespeare e confesso di non avervi trovato niente di speciale”, queste parole adesso possono essere prese non soltanto come segno di una mente profonda, ma perfino come qualche cosa di lodevole, quasi come un’azione morale. La superbia degli ignoranti è divenuta davvero smisurata. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, 1876).

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