La strage di via d'Amelio a Palermo (foto LaPresse)

L'Indicibile secondo Massimo Bordin

Adriano Sofri

Una categoria che ha qualcosa di mistico e non a caso si adatta alla categoria dei misteri di mafia

Ricordando T.W.Adorno a cinquant’anni dalla morte, il prezioso Matteo Marchesini ha scritto, a proposito del trapasso ai “francesi”: “La loro sofistica ipostatizza con troppa facilità l’Indicibile, e dietro la maschera della raffinatezza cataloga vasti orizzonti storici o epistemologici sotto grossolane etichette positivistiche”. Giudizio impervio, che ho banalmente collegato agli ammonimenti a guardarsi dall’Indicibile ripetuti su queste pagine da Massimo Bordin.

 

Bordin non pensava a certi filosofi “francesi” ma a certi procuratori siciliani. La nozione di indicibile ha qualcosa di mistico e non a caso si adatta alla categoria dei misteri di mafia. Anche noi, che non siamo né filosofi né pubblici ministeri – che è comunque un’attenuante - siamo tentati di chiamare indicibile ciò di cui intendiamo parlare senza provarlo. Indicibile serve alle cose losche, ineffabile a quelle estatiche, o solo beffarde. Serve a eludere l’avvertimento di Wittgenstein, che di ciò di cui non si può parlate si debba tacere. L’Indicibile inoltre ha a che fare con la voga della percezione. Non può essere la verità, ma la verità percepita, e alla fine l’unica verità è quella percepita. L’unica verità è quella indicibile. Così si scriverà sulla tomba dell’epoca.

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