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I risultati elettorali che non arrivano nella Repubblica Democratica del Congo

Adriano Sofri

Nella condizione di questo grandioso, magnifico e terribile paese l’attesa per la proclamazione dello scrutinio coincide con quella per la violenza che minaccia di rinfocolare

Continua l’attesa della pubblicazione dei risultati elettorali nella Repubblica Democratica del Congo, dove si è votato il 30 dicembre. C’è qualcosa di favoloso nei rinvii in cui si è illustrato il regime di Kabila. Prima il rinvio sine die delle elezioni, oltre due anni dopo la scadenza legale del suo mandato. (Joseph Kabila, 47 anni, è al potere dal 2001, dopo che il presidente suo padre, Laurent-Désiré, fu ucciso in un tentativo di colpo di Stato). Poi, fissate le elezioni al 23 dicembre, il rinvio in extremis al 30. Poi il rinvio di un’altra settimana nella comunicazione dell’esito del voto da parte della Commissione elettorale. Così le cose fin qui. I concorrenti principali sono tre, ma il dubbio sul risultato finale riguarda solo due di loro: il candidato di Kabila, Shadary, e il candidato più accreditato per l’opposizione, Fayulu. Se risultasse vincitore il primo, vorrebbe dire che si è falsificato il voto e si è deciso di sfidare il popolo congolese e l’opinione internazionale. Se risultasse vincitore il secondo, vorrebbe dire che il regime ha riconosciuto l’esito del voto e ha solo preso un tempo ulteriore per attutire il colpo. Ma nella condizione di questo grandioso, magnifico e terribile paese l’attesa per la proclamazione dello scrutinio coincide con quella per la violenza che minaccia di rinfocolare.

 

Il Congo è attraversato da innumerevoli guerre per bande i cui fili sono solo in parte tirati dalle potenze limitrofe e da quelle lontane. Apprendisti stregoni e massacratori e stupratori in proprio. La “guerra mondiale africana” lunga quasi trent’anni promette di conoscere un nuovo incendio. Ci sono quotidiane stragi e brutalità, ed episodi singolari, come l’invio da parte di Trump di un’ottantina (!) di militari delle forze speciali Usa in Gabon da impiegare nell’eventualità che la comunicazione del risultato elettorale minacci il personale diplomatico americano. (E siccome il mondo è brutto perché non è vario, negli stessi giorni il Gabon ha ospitato a Libreville un breve tentativo di colpo militare). La RDC non aveva accettato ossservatori europei sullo svolgimento elettorale. Osservatori, in numero inadeguato alla vastità del paese e ai suoi 81 milioni di abitanti, erano stati dislocati dall’Unione Africana e da altri organismi, ma soprattutto dalla Conferenza Episcopale congolese, che ha impiegato 1.026 osservatori permanenti in diverse città e territori e 40.000 osservatori provvisori in tutti i centri di voto, riconosciuti dalla stessa Commissione elettorale. La Conferenza Episcopale ha fatto intendere chiaramente qual è il risultato acquisito del voto. Il suo presidente, Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani, ha dichiarato alla Radio Vaticana: “Al momento opportuno la Conferenza sarà chiamata a pesare i risultati e a prendere una posizione chiara. Se si tratta di qualcosa che è contrario alla verità per quanto riguarda il rapporto dell’osservatorio elettorale, noi diremo chiaramente che tali risultati non sono conformi alla verità delle urne. Se sono conformi, diremo tuttavia anche in questo caso la verità, confermando ciò che la Commissione avrà pubblicato”. Lo stesso papa Francesco, parlando ieri al corpo diplomatico, ha detto: “Il rispetto del risultato elettorale nella Repubblica Democratica del Congo è fattore determinante per una pace sostenibile”. Intanto, dura il silenzio totale imposto a Internet, ai messaggi e ai social e alla radio France.

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