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La minaccia cupa sull'avvenire del Congo

Adriano Sofri

La Corte costituzionale convalida i risultati delle elezioni che hanno dato la vittoria di Tshisekedi. Intanto la censura blocca le notizie sulla strage di Yumbi

Nella Repubblica democratica del Congo la Corte costituzionale – infeudata al dittatore “uscente” Joseph Kabila – ha ovviamente convalidato i risultati della Commissione elettorale che attribuivano la vittoria, nelle elezioni dello scorso 30 dicembre, all’oppositore addomesticato Félix Tshisekedi, col 38 per cento, contro l’oppositore temuto, Martin Fayulu, col 34 per cento. I dati raccolti dai 40 mila osservatori della Conferenza episcopale e rivendicati da Fayulu davano a lui una maggioranza del 60 per cento, e a Tshisekedi il 18. L’enormità della manomissione e l’unanimità o quasi del suo riconoscimento sono contrastate dalla paura per una recrudescenza delle guerre “civili” del grande paese. Il quale offre un esempio amaro del conflitto fra verità e realismo.

 

 

All’interno, anche fra la gente avversa a Kabila e scandalizzata dalla falsificazione del voto fa presa la paura, e l’argomento per il quale, dopotutto, per la prima volta si realizza nel voto un’alternanza nel potere. Proteste sono avvenute, si sono contati dei morti, pochi tuttavia per un paese in cui le vittime si contano all’ingrosso. Fayulu, che pure si proclama il vero presidente eletto, lamenta di non riuscire a tenere una sua manifestazione a Kinshasa per la schiacciante intimidazione di polizia. L’Unione africana, che aveva chiesto di sospendere la proclamazione del voto, ha alla fine cancellato la missione a Kinshasa del suo presidente di turno, il ruandese Kagame (ancora per pochi giorni) e del ciadiano a capo della Commissione, Moussa Faki. In cambio, i presidenti di Sudafrica, Kenya, Tanzania e Burundi si sono congratulati con Tshisekedi o hanno invitato alla “calma”.

 

Un trattamento analogo del voto ha riguardato anche l’elezione legislativa, dando a Kabila 335 seggi su 600 e il controllo sulla formazione del governo. Qualunque sia la reazione prossima, l’esito di elezioni tanto attese e tanto rinviate ha innescato una minaccia cupa sull’avvenire. Solo nei giorni scorsi si è avuta notizia di una strage avvenuta a Yumbi, nell’estremo ovest a nord di Kinshasa, a metà dicembre, costata secondo l’Onu “almeno 890 morti”, nel conflitto fra la maggioranza Batende e la minoranza Banunu. Eccitato dal funerale di un capo tradizionale Banunu, il mattatoio è culminato il 16 dicembre. Le vittime, nella stragrande maggioranza Banunu, sono state uccise a colpi d’arma da fuoco o di machete. Gli abitanti sono fuggiti a decine di migliaia nelle isole sul fiume Congo o nella confinante Repubblica di Brazzaville. Non c’entravano le elezioni, se non per un dettaglio: che la censura di internet e dei messaggi, interrotta solo l’altroieri, ha impedito per un mese che il mondo ne avesse notizia. La nostra parte di mondo, con le solite rade eccezioni, non l’ha ancora avuta.

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