Un po' di luce sulla buia prova che stiamo offrendo noi umani del momento

Adriano Sofri

Il premio annuale della Coalizione italiana della libertà e dei diritti civili assegnato martedì a Milano

Nel 2014 un gran numero di associazioni e persone si misero insieme col titolo comune di Coalizione italiana della libertà e dei diritti civili, Cild. Se volete (vogliate) vedere chi sono cercate la sigla in rete. Istituirono un premio annuale, che per il 2018 è stato consegnato ieri, 4 dicembre, a Milano. Ho letto i nomi dei premiati con una premura speciale, eccitata dalla malinconia sulla prova che stiamo offrendo, noi umani del momento, singolarmente e collettivamente. Ecco l’elenco. Iacopo Melio, nato nel 1992, che ha trasformato un suo desiderio singolarissimo, “Vorrei prendere il treno”, in una campagna rivolta a tutti gli altri che si trovano in una condizione disadatta a salire e scendere e stare sui treni – cioè, ai treni disadatti: condizione che avvantaggia una sua intelligenza di altre vite viaggianti. Aboubakar Soumahoro, l’italiano nato in Costa d’Avorio che anima l’impegno sindacale dei lavoratori stranieri contro il caporalato le violenze e le prepotenze, specialmente nell’Italia meridionale, e fa ricordare che i lavoratori di ogni latitudine somigliano davvero a quella descrizione dei cristiani che si trova nella singolare “Lettera a Diogneto”, dove dice: “Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”. Maria Teresa Ninni, anni e anni trascorsi coraggiosamente e lucidamente prima nel volontariato poi nel servizio pubblico per i diritti e la dignità delle persone che usano droghe. Saverio Tommasi, giornalista di social e video, impegnato a “vivere le storie e mostrare ciò che non si ha interesse a far vedere”. Sara Gama, 1989, triestina, madre triestina e padre congolese, capitana della Juventus e della Nazionale, coautrice del libro “Che razza di calcio”, laureata in letteratura, poliglotta, amata – oltre che da tutti noi – dalle bambine, ciò che le fa dire: “Allora qualcosa di buono ho combinato”. Un premio collettivo va alla Casa Internazionale delle Donne, che ha aggiunto alle sue benemerenze storiche una inconsulta minaccia di sgombero. Ho lasciato in fondo due altri premiati, che conosco meglio personalmente così che ne provo una contentezza particolare. Franco Grillini, protagonista eroico e normale dell’impegno contro le discriminazioni sessuali: una persona capace di farti chiedere come mai cose così evidenti, ragionevoli e belle abbiano potuto e possano ancora essere tanto temute e insultate. E un avvocato, Nicola Canestrini, impegnato su temi di diritto internazionale come l’estradizione, soprattutto quando riguarda paesi in cui i diritti e la stessa incolumità sono più minacciati, e sulla difesa internazionale degli “Avvocati minacciati”, spesso incarcerati e a volte assassinati per la loro attività in difesa dei diritti umani. Nicola Canestrini aveva un compito particolarmente difficile: stare all’altezza di un padre formidabile, Alessandro (Rovereto 1922), cui la difesa dei poveri, degli obiettori, dei disobbedienti, dei discriminati di ogni minoranza, anche della minoranza di uno, e per ogni pretesto, in una regione che delle ostilità e delle mutue discriminazioni è stata una culla micidiale come il Trentino Alto Adige-Südtirol, ha procurato un riconoscimento raramente così trasversale e una riconoscenza affettuosamente monumentale. Grandi padri così – e grandi madri, nutrici di giardini – lasciano due possibilità: prendere una distanza di sicurezza, imparare tutto sulle grandezze romane e spiegare all’occasione che no, Giulio Cesare non dormiva nel Colosseo, o seguire le orme paterne e tirare fuori il meglio di sé. Ieri Sandro Canestrini sarà stato felice.

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