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Padri, figli, nipoti e i tramonti su YouTube

Adriano Sofri

Quando io vedo qualcosa che mi colpisce non resisto al bisogno di chiamare qualcuno a condividere la mia emozione

Vorrei trattare, su base esclusivamente privata, della questione delle terze e seconde generazioni. Prenderò me come rappresentante della terza generazione e un mio figlio come rappresentante della seconda. (Se loro si fossero sbrigati come me oggi potrei parlare a nome della quarta generazione, e loro della terza: ma accontentiamoci). Prima però vorrei allegare un breve aggiornamento sui taxi a Madrid, dal momento che oggi giovedì (per voi che leggete) c’è uno sciopero generale dei tassisti dell’intera Spagna. I soliti problemi: Uber, abusivi, troppe licenze… Ieri (per voi che leggete) un’avanguardia combattiva ha già manifestato nelle strade di Barcellona al grido di: “Somos taxistas, no terroristas”.

 

Veniamo alle generazioni e alle loro incomprensione. C’è, alla Puerta del Sol, un palleggiatore di una bravura prodigiosa. È probabile che molti di voi lo conoscano, perché si esibisce di norma ad Amsterdam ed è qui in trasferta, per la stagione. Non credevo ai miei occhi davanti a quello che fa col pallone, e tutte le sere sono tornato ad ammirarlo, come si ammira un grande artista. Ora mi vanto di essere diventato suo amico. È arabo algerino, parla parecchie lingue, ha 50 anni senza mostrarli, è piccolo e smilzo, si chiama Abdul (Abdullah), dev’essere stato un ottimo giocatore di calcio. Ho immaginato quale dedizione abbia chiesto la conquista di una tale abilità. Mi ha spiegato che voleva essere Unico, e ritiene di esserlo. So che ha dei concorrenti nelle piazze circensi d’Europa, e gli ho domandato se ha qualche rivale che possa stargli di fronte. Forse poteva Maradona, ha detto, ma bisognava che si applicasse. Ora quando io vedo qualcosa che mi colpisce non resisto al bisogno di chiamare qualcuno a condividere la mia emozione.

 

Per esempio l’altroieri ho chiamato voi lettori perché avevo appena rivisto Velazquez. I miei figli, che allora erano la prima generazione e ora sono la seconda, a un certo punto non volevano più viaggiare con me perché sostenevano che li incitassi (insistentemente, sostenevano) a guardare un tramonto o un fiordo norvegese come se li avessi fatti io, il fiordo e il tramonto. Sicché essendo così solo, se non al mondo, almeno a Madrid, ho telefonato a un mio figlio e ho cercato di descrivergli che cosa sapeva fare Abdul con il pallone, per esempio farlo rimbalzare alle sue spalle sulla statua di Carlo III a cavallo e rifermarselo su un piede dopo aver fatto una doppia piroetta da sdraiato – quando il mio figlio mi ha interrotto dicendo benevolmente: “Sì, sì, sarà senz’altro su YouTube”.

 

Come coi fiordi norvegesi. Ho salutato e al rientro in albergo ho controllato: naturalmente ci sono un sacco di video del mio palleggiatore su YouTube, e vi invito a guardarli – come se l’avessi scoperto io. Cercate i video migliori, perché alcuni, in genere di turisti di Varese, sono inadeguati. Bene, io apparterrò a una generazione che non sapeva vedere un tramonto senza chiamare qualcuna, qualcuno – chiunque – e dirgli: “Guarda che tramonto!”. Ma anche la seconda generazione (quasi la terza) minaccia di non guardare più i tramonti perché di sicuro stanno su YouTube. Sia questa la mia affezionata rivalsa sui miei figli che non vollero più venire in vacanza con me, per paura che mi vantassi di come mi era venuta bene la Norvegia.

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