(foto LaPresse)

Sui femminicidi, il punto è la prevenzione

Adriano Sofri
Cara Selma, abbiti una considerazione laterale sull’eventuale legge contro il femminicidio. Non esiste femminicida che si lasci intimidire dalla durezza del castigo.

Cara Selma, abbiti una considerazione laterale sull’eventuale legge contro il femminicidio. Non esiste femminicida che si lasci intimidire dalla durezza del castigo. Con le violenze contro le donne, una volta sgombrato il terreno, o almeno il codice, dalle norme ignobili che tutelano o “comprendono” gli uomini, com’era fino a poco fa quella sul delitto d’onore, il punto è la prevenzione. Punto vastamente – il più vastamente possibile – culturale, e però anche legale e poliziesco. Gli uomini che ammazzano le (loro) donne sono immuni dalla paura della punizione, per il loro invasato e vile vittimismo. Sono, per intenderci, un equivalente ordinario degli attentatori-suicidi. Gli attentatori-suicidi rendono inane la minaccia della punizione: si autocondannano a morte e ne gioiscono.

 

Gli uomini che ammazzano le (loro) donne evitano nella maggioranza dei casi di ammazzarsi – “poi ha tentato il suicidio”, dicono le cronache – per viltà, ma la viltà ai loro occhi è un’abnegazione: sacrificando la (loro) donna hanno la sensazione inebriante di sacrificare se stessi. E’ la vecchia questione posta dalle misure di polizia contro chi faccia temere violenze più gravi e anche fatali contro la donna che abbia già picchiato, violato e minacciato: un foglio di polizia gli intima di tenersi alla larga dalla (sua) donna, di non frequentare il quartiere in cui lei vive eccetera. L’uomo che in un raptus di gelosia va a dare sessantatré pugnalate alla (sua) donna col coltellaccio che si è portato dietro da tre giorni si lascerà difficilmente intimidire dal foglietto di polizia. Qualunque misura di assistenza sociale, di polizia e anche di legge dovrebbe confrontarsi con la prevenzione piuttosto che con la sanzione, che così com’è, se applicata come deve, basta e avanza.

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