Il sacrificio del cervo sacro

di Yorgos Lanthimos, con Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan

Mariarosa Mancuso

Problema: serve un cervo già sacro, per il sacrificio? Oppure basta procurarsi un cervo qualsiasi che offerto alla divinità diventa sacro? (il titolo internazionale è confuso quanto l’italiano, ma almeno scansa la ripetizione). Sappiate che il greco Yorgo Lanthimos è un regista di culto, nel caso vi scappasse una risatina davanti a un film strabordante di pretese – “ora ti faccio una tragedia greca nelle corsie di un ospedale moderno” – quanto deludente nei risultati. A meno che per risultato non si intenda, alla maniera del più puro Michael Haneke, due ore di castigo inflitte allo spettatore. Il chirurgo Colin Farrell ha fatto morire un paziente in sala operatoria, per questo regala orologi e offre pranzi all’orfano (in camera da letto pretende che la moglie Nicole Kidman si sdrai sul letto nuda e si finga anestetizzata). Non se la caverà con così poco. L’orfano è l’irlandese Barry Keoghan, ragazzino dallo sguardo sbieco che pronuncia minacce tremende (lo sguardo innocente e patriottico era in “Dunkirk” di Christopher Nolan, quando salpa con la barchetta di Mark Rylance per contribuire allo sforzo bellico). Paralisi, emorragia, morte: toccheranno in quest’ordine ai familiari del chirurgo se il capofamiglia non ucciderà personalmente la moglie o uno dei figli. Niente trattative. Quando il primo in famiglia comincia a stare male la paura sale. Barry Keoghan – da piccolo assieme alla madre drogata viveva in famiglie d’affido (tredici, secondo un’intervista) e ora fa il modello per Dior – mette paura anche allo spettatore. Più difficile simpatizzare con il minacciato. Un giornalista su Empire ha avanzato la Teoria Generale su Colin Farrell: nei film a grosso budget è inguardabile, nei film a piccolo budget è superlativo. Non regge alla prova dei fatti: “Il sacrificio del cervo sacro” non è costato granché (a parte gli attori, ma spesso per lavorare con gli Autori fanno sconti). Non era costato granché neppure “The Lobster”, girato dal regista tre anni fa. Ed era perfino più difficile affezionarsi a un uomo che dopo morto vuole diventare un’aragosta, in una società dove essere sfidanzati è proibito per legge.

Di più su questi argomenti: