DENIAL - LA VERITA' NEGATA

di Mike Jackson, con R. Weisz, T. Spall, T. Wilkinson, A. Scott, C. Pistorius

Mariarosa Mancuso

Se dici “negazionista” a uno che nega l’Olocausto, e se quel qualcuno ti denuncia per diffamazione, meglio che il processo non debba celebrarsi in Inghilterra. Secondo le leggi di chi ha inventato l’habeas corpus (niente detenzione se non ti accusano di un preciso reato) l’onere della prova tocca a chi ha detto o scritto la parola “negazionista”. Sarà lui a dover dimostrare in tribunale che la parola era esatta e corrispondente al vero. Nel 1996 il negazionista David Irving accusò di diffamazione la storica americana Deborah Lipstadt, per un saggio pubblicato dalla casa editrice Penguin (foro competente: Londra). Fu la studiosa, con un fantastico team di avvocati – se poco poco somigliano a quelli che vediamo sullo schermo, sono tutti molto meglio di Perry Mason – a dover dimostrare che Irving sapeva (delle camere a gas, del ruolo di Hitler nello sterminio) e intenzionalmente sosteneva il contrario. Nel film è Rachel Weisz, stupefatta quando le spiegano come andrà il processo e le illustrano la linea di difesa (anche qualche dettaglio sul sistema giudiziario vigente sotto Sua Maestà Elisabetta, ancor più gustosi perché a spiegarli è l’avvocato che fece divorziare la principessa Diana). “Niente sopravvissuti in tribunale”, decidono: sono troppo fragili, l’emozione potrebbe giocare brutti scherzi, gli avvocati di Irving farebbero a pezzi le testimonianze. Rachel non è d’accordo, ma non c’è verso. Avranno ragione loro, e non è spoiler: sappiamo come è finita, più interessante - parlando di cinema – è la strada per arrivarci (anche certi accenti british da brivido che andranno perduti nel doppiaggio). In tribunale per i buoni c’è Tom Wilkinson. Nella realtà: Richard Rampton, specializzato in cause per diffamazione, anche lui ha scritto un libro sul processo, saccheggiato dallo sceneggiatore David Hare assieme al libro di Deborah Lipstadt. Timothy Spall – l’attore prediletto da Mike Leigh, che lo ha scelto quasi sempre come miserabile, e una come grande pittore in “Turner” – è il cattivo David Irving. Uno che ha lo studio tappezzato con i suoi diari rilegati, come Giulio Andreotti e Gian Luigi Rondi.

Di più su questi argomenti: