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Il racconto

Il segretario di stato americano con la Stratocaster. Storia musicale di Blinken

Stefano Pistolini

Una diplomazia a suon di musica blues quella di Antony Blinken che, in occasione della Global Music Diplomacy Initiative, ha vestito i panni del chitarrista intonando il brano "Hoochie Coochie Man" di Muddy Waters

Adesso che, al cospetto delle performance professionali del segretario di stato americano nelle crisi ucraina e israelo-palestinese, da più parti si comincia a parlare di un’ipotesi “president Blinken”, sembra necessario introdurvi un altro capitolo del discorso: “guitarist Blinken”. Si sa che la musica è una vecchia passione del 61enne Antony. Ai tempi del college recensiva album e poi scriveva e registrava le sue canzoni (ancora oggi disponibili su Spotify a suo nome). Era un adoratore di Eric Clapton, di cui imitava lo stile “slowhand” e si accalora raccontando della volta in cui Grant Hart degli Hüsker Dü, leggendaria band grunge, gli concesse l’onore di suonare con lui. La politica estera, dicono le biografie, era comunque scritta nel suo destino: il padre Donald era stato ambasciatore americano in Ungheria durante l’amministrazione Clinton e lui si è laureato a Harvard, specializzato alla Columbia e a inizio degli anni Novanta è già in servizio al dipartimento di stato, come assistente dell’ufficio per i rapporti coi governi europei.  Ha fatto lo speechwriter per Clinton su temi di politica internazionale e con Obama alla Casa Bianca è entrato nello staff del vicepresidente Biden. In tutto ciò non ha mai smesso di comprare dischi, con un debole per le band anni 70, Pink Floyd e Lynyrd Skynyrd in testa, nonché di collezionare chitarre, anche se ammette candidamente di non essere esattamente Jimi Hendrix. Anche quando la carriera politica è decollata Blinken non ha perso il contatto con la musica. Con altri professionisti washingtonians ha perfino trovato il modo di mettere su delle band, magari solo per darsi appuntamento in qualche piccola sala-prove (uno dei gruppi aveva un nome notevole: Coalition of the Willing, la coalizione dei volenterosi): “Da sempre ho la musica nel cuore. Mi dà gioia, si tratti di suonarla o solo d’ascoltarla”, spiega lui stesso. Gli hanno perfino chiesto se durante le sue turbolenze diplomatiche alla ricerca della pace nel mondo porti con sé una chitarra e ha confessato d’averci pensato: “Ma sarebbe stato scortese verso i colleghi. Quando sei ammassato dentro un aereo e uno comincia a suonare, non sai dove scappare”.

Del resto la tradizione dei segretari di stato americani col debole per la musica ha precedenti vicini e illustri: Condoleezza Rice è una pianista classica di livello e John Kerry negli anni Sessanta militava in una garage band. Quanto al presidente Biden, che continua a rappresentare il faro politico di Blinken, i gusti vanno d’accordo con i suoi e c’è un’artista per la quale entrambi fanno follie: Carole King, grande classico americano, di cui entrambi confessano d’aver consumato svariate copie di “Tapestry”, l’album più famoso. Blinken però mostra di avere gusti più aggiornati e a chi glielo ha chiesto ha elencato Aimee Mann, Father John Misty e Alicia Keys come artisti favoriti, mentre i suoi album da isola deserta sono “Layla” di Derek and the Dominos (altra formazione di Eric Clapton) e “Talking Book” di Stevie Wonder. Adesso Blinken ha trovato il modo di trasportare la sua passione nel lavoro: qualche settimana fa ha lanciato la Global Music Diplomacy Initiative, con queste parole: “Nei miei viaggi ho visto come la musica sappia trascendere i confini geografici e le barriere linguistiche, offrendo uno spazio per esprimerci e ascoltarci a vicenda, costruendo un senso di comunità e comprensione. La nostra diplomazia ha sempre cercato di sfruttare il potere della musica per favorire la collaborazione tra gli americani e il resto del mondo”. Ora questa iniziativa si occuperà di organizzare tour di grandi artisti americani in 30 paesi raramente toccati dai circuiti internazionali, inclusi Cina e Arabia Saudita. Una proposta volenterosa, per quanto anacronistica rispetto alle problematiche nelle aree di grande crisi e in apparenza intenzionata a rinnovare lo stile di colonizzazione culturale di cui gli Stati Uniti furono protagonisti con successo nel secondo Novecento, ma i cui tratti andrebbero aggiornati agli scenari del presente. Detto questo, l’immagine di un segretario di stato che, oltre a dimostrarsi persona capace e volenterosa nella sua missione, non nasconde questo lato espressivo della sua personalità, provoca simpatia.

Come nel video, divenuto virale, nel quale al termine della presentazione della Global Music Initiative Blinken imbraccia la chitarra e, accompagnato da una band di veterani, intona la sua versione di “Hoochie Coochie Man”, l’inno della leggenda del blues Muddy Waters, Un’esecuzione dignitosissima, che ha entusiasmato la platea. Tra cui ci sarà stato qualche democratico del Congresso che si sarà chiesto se l’idea di sospingere verso la presidenza un americano di questo genere, in alternativa al vecchio Biden minacciato dal secondo avvento del trumpismo, possa avere un futuro. Un presidente con al collo la Stratocaster, al posto di un fucile automatico. Difficile che possa funzionare. Eppure è impossibile non intravedere la fascinazione “vecchia America” che circonda di un alone speciale un’immagine del genere.

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