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Musica d'Africa made in Italy

Marco Ballestracci

Elvira Pietrobon, dall’Italia al Mali e ritorno. Come suona Mieruba, una casa discografica indipendente di Segou

La storia di Elvira Pietrobon è una comune storia di studio, di viaggio e di musica, non fosse che le circostanze l’hanno condotta nell’Africa Occidentale. Elvira da Venezia, per tutta una serie di combinazioni universitarie ed erasmussiane, è prima finita in Francia – a Montpellier – e poi, per insegnare urbanistica durante un semestre, all’Università di Bamako: la capitale del Mali e una delle città più importanti per quanto riguarda la musica di tutta l’Africa. Quel continente, lo si sa dai tempi di Livingstone e Stanley, ha la possibilità di far scaturire potenti sortilegi, così da rimanere inesorabilmente impresso nello spirito delle persone.

“Sono scesa a Bamako per completare la mia tesi d’urbanistica. Solo un mese, ma un mese è più che sufficiente per far crescere il desiderio di tornarci. Così non mi sono fatta sfuggire l’opportunità d’una cattedra provvisoria all’Università di Bamako”. Lì la musica gira nell’aria, soprattutto ciò che laggiù viene chiamato “blues”, ed è del tutto naturale venirne affascinati. “In realtà, a Montpellier, vivevo in una casa condivisa con grandi appassionati di musica, ai quali si sono aggiunti, in un secondo momento, dei musicisti maliani arrivati in Francia per registrare un album e che proprio dove abitavo impostavano il loro lavoro. Spostare le mie attenzioni da ciò che ascoltavo prima alla musica africana è stato spontaneo. Una sorta di naturale immersione nella musica del deserto”.

Durante il periodo d’insegnamento Elvira ha incontrato Salia Hanne, responsabile dal 2008 di Mieruba, una casa discografica indipendente di Segou - all’inizio del deserto del Sahara, lungo il  Niger – ed è diventata sua moglie, nonché parte integrante del progetto Mieruba Art Center. “L’Art Center è un progetto parallelo alla casa discografica. E’ un luogo in cui ospitiamo gli artisti locali e, al contempo, cerchiamo di favorire l’incontro con musicisti che provengono dall’estero. E’una sorta di grande laboratorio musicale in cui gli artisti possono risiedere e contemporaneamente sviluppare i loro progetti che sovente vengono poi pubblicati dalla casa discografica. Per chi viene dall’estero, invece, la residenza al Mieruba Art Center è un’opportunità per cogliere lo spirito dell’impero Bambara, di cui Segou era la capitale e di cui il fiume Niger, che sta a poche centinaia di metri, è stata l’arteria di comunicazione più importante”.

Chi conosce un poco la musica africana sa quanto importante sia il Niger non solo per le comunicazioni, ma per la musica stessa. Accanto al fiume è cresciuta l’arte di Ali Farka Toure, uno dei fondamentali musicisti africani che Ry Cooder ha reso diffusamente noto attraverso la comune incisione di “Talkin’ Timbouctou”.

   

           

Il Mieruba Art Center deve possedere molto dello spirito d’un luogo come Niafunké, dove Ali Farka Toure è cresciuto, perché molte delle incisioni che vengono realizzate da Mieruba esprimono la medesima sensazione d’immersione in un mondo scandito da altri ritmi e pieno d’un fascino irriscontrabile altrove. Basta ascoltare alcuni degli artisti ospitati e poi proposti a Segou per rendersi conto d’un inesauribile filone musicale: Safi Diabaté, Mama Sissoko, Mangala Camara, Idrissa Soumaoro e i Sahel Roots, nonché la riproposizione di piccoli capolavori che, nonostante non siano stati pubblicati da Mieruba, grazie agli afrori del Niger, continuano a risuonare: come “Rainy Season Blues” di Lobi Traore.

   

         

Tutti nomi che, non posso nasconderlo, non conoscevo affatto - ed era un vero peccato - prima d’incontrare per caso, in uno dei suoi ritorni, Elvira Pietrobon: una rarissima e reale afro-italiana.

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