Di tutto, di più

La trattativa stato-Sanremo, copioni fissi e panico da televoto. A spasso nel Festival

Salvatore Merlo

Giovedì quote gender. L’anno scorso toccava a Drusilla Foer, uomo vestito da donna, stasera a Paola Egonu, che ha detto di aver “amato una donna”. Intanto il comune conferma di avere ricevuto un’offerta per trasferire l'evento su un’altra rete. "Un patetico tentativo di estorsione”, dice un dirigente Rai

Sanremo, dal nostro inviato. In Italia di solito è “giovedì gnocchi”, al Festival invece è “giovedì quote gender”. L’anno scorso di giovedì toccava esibirsi a Drusilla Foer, uomo vestito da donna. Stasera tocca invece a Paola Egonu, la campionessa di volley che ha detto di aver “amato una donna”. Schema fisso. Un po’ come i menù dei ristoranti di Sanremo. Tra pesce assai sospetto e piatti guarniti di maionese trasudanti il puro orrore dell’esistenza, presi d’assalto come sono da eserciti di cacciatori di selfie giunti da tutta Italia, queste trappole per citrulli imbandiscono a prezzi stellari sbobbe tanto remote dal cibo che è un miracolo se siamo ancora vivi. E questo ha molto a che vedere col Festival. Tra i sei negozi della catena a diffusione nazionale, gli alberghi che devono aver visto tempi migliori, il casinò popolato solo da anziani che si giocano la pensione alle slot machine (e da dipendenti Rai), tra le gioiellerie che spacciano “autentici zirconi” e le boutique che offrono borse in “vera similpelle”, dopo qualche giorno di permanenza appaiono chiare almeno un paio di cose: Sanremo sta alla Costa Azzurra all’incirca come il Tamarindo sta alla Coca-Cola e il Festival è praticamente l’unica cosa che tiene in vita una città che, come ti racconta chiunque, “per il resto dell’anno è deserta. Quasi morta” 


Ragione per la quale, dopo che il comune di Sanremo ha confermato di avere ricevuto un’offerta per trasferire il Festival su un’altra rete tv, da un importante dirigente Rai ci arriva questo (ufficioso) commento: “E’ un patetico tentativo di estorsione”. Ecco. Vogliono più soldi dalla televisione di stato. L’ufficio studi di Banca Ifis ha calcolato che il Festival della Rai porta nella cittadina e nelle aree limitrofe quarantunomila persone in sei giorni. Circa 18 milioni di euro:  8,8 per gli affitti (se paghi meno di duemila euro per una settimana sei fortunato), 2 milioni di euro per la ristorazione, due milioni di euro per lo shopping, oltre ai 5 milioni di euro netti che paga direttamente la Rai. In appena sei giorni. Ma evidentemente si può spremere di più, pensano a Sanremo. D’altra parte, non è forse questa la funzione della televisione pubblica? Quella di essere spremuta da tutti?

Così, la minaccia di trasferire  il Festival di Sanremo ha incrinato la già precaria serenità di chi, alla Rai, organizza questa baraonda, questo circo in cui si consumano la pietà e il furore, le lancinanti tristezze, i disgusti, le ansie mercantili e metafisiche legate sempre a tutti i fenomeni di massa. Oggi, all’ora di pranzo, per dire, una folla a malapena umana e composta da alcune decine di persone ondeggiava e tumultuava davanti al ristorante “La Pignese”, al porto vecchio di Sanremo. Dentro c’era Chiara Ferragni. E ogni signora all’incirca bionda che usciva da quella porta veniva prima assalita e poi rilasciata, con delusione da biroccio funebre: “No non è lei”. Squadroni della morte, armati di cellulare, battono gli alberghi alla ricerca di Fiorello. E basta che qualcuno si fermi di fronte all’insegna di un hotel, anche solo per allacciarsi le scarpe, che in pochi minuti viene raggiunto a grappolo da altre persone con lo sguardo acceso degli insani, dei dementi: “Chi stai aspettando? Quale cantante dorme qua? Ci sono i Måneskin?”.

 

Ma i cantanti non si fanno vedere, ora meno che mai. La gara canora è cominciata, adesso sul serio. E loro si giocano la carriera, sono nervosissimi. Inizia la guerra dello show business. Levante scoppia in lacrime. Mara Sattei ha un semisvenimento appena rientra dopo aver cantato. Giorgia s’infila nello stanzone del retropalco, che sembra un casello d’autostrada il 15 d’agosto, e davanti a una folla di operatori del 118, addetti alle pulizie, agenti e accompagnatori, prova la voce. “Scusatemi ma devo farlo”. Persino lei, veterana, è insicura. C’è Anna Oxa col mal di gola, c’è quello che ripete “non ce la faccio”, c’è pure quello che sembra un po’ strafatto. Anche Gianni Morandi non si è sentito bene.

 

Inizia la gara del televoto, quella che in anni passati è stata anche oggetto di qualche scandalo, di tentativi d’imbroglio. Avere successo a Sanremo significa passare alla radio, significa vendere. Dunque guadagnare. E alla fine è ovviamente il denaro che fa girare tutta questa enorme macchina cui ciascuno vuole aggrapparsi, compresi i politici che fanno campagna elettorale su Fedez e  Amadeus per grattare qualche voto alle regionali di domenica prossima. Quindi è comprensibile che anche la città di Sanremo voglia scucire qualcosa in più alla Rai. Di tutto, di più.
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.