che musica fa

Sanremo, Mahmood e Blanco sono già primi. Ma vincono ancora i Måneskin

Enrico Veronese

All'Ariston torna il pubblico e sarà la voglia di normalità ma tutto pare più bello del solito. L'Italia ritrova Morandi, Ranieri e le sue certezze ma scopre anche Dargen d’Amico, con tredici anni di ritardo

Mahmood e Blanco sono già primi, ma vincono ancora i Måneskin. Sanremo è ai piedi del quartetto romano, cui tributa il plauso mancato lo scorso anno dalla platea dei palloncini: quanto erano mancati gli applausi dell’Ariston! Sarà la voglia di normalità, ma sulle prime tutto pare più bello del solito, anche la scenografia: e per fortuna la musica c’è subito, senza dilungarsi.

Inizio soulful con le smorfiette di Achille Lauro, a torso nudo e serpentone tatuato: le sue coriste gospel – effetto Neri per Caso – hanno tra le mani le formelle del divo, “Domenica” è una Rolls Royce autocitazionista dal ritornello aperto. Ma l’originale aveva la botta per vincere subito, ormai è assuefazione. Yuman, vincitore di Sanremo Giovani e oggetto di mille calembour, mariobiondeggia e brilla: il brano, “Ora e qui”, è una difficile palestra vocale dalla quale il ragazzo classe ‘96 esce con credibilità blues e senza effetti speciali.

Si va veloci con Noemi in rosa carne stile Jessica Rabbit, forma invidiabile e perfetta acconciatura ondulata: “Ti amo non lo so dire” è parto di Mahmood e Dardust, “il nuovo normcore sanremese” secondo Francesco Farabegoli di Rumore. Strofa delle sue, ritornello vibrante hyperpop col finale appaltato ai Coldplay o a qualche boy band coreana: anche se il suo momento pare passato, la costanza prima o poi potrebbe riscuotere.

Uno che non ne ha bisogno è Gianni Morandi, e purtroppo “Apri tutte le porte” è un pezzo assai dimenticabile nella sua sterminata singolografia. Nonostante la performance dell’orchestra Sixties e quella risata che ispira forza, dai, uno su mille ce la fa: “Vai così!”, pare crederci davvero a questo pastiche tra Rocky Roberts e “Arriva la bomba”... Jovanotti poteva dare di più, ma Gianni si diverte (o finge di divertirsi, chi siamo noi per giudicarlo?) e i colleghi della sala stampa lo innalzano alle soglie del podio di giornata.

La parte ascendente della serata ha il suo culmine negli opposti, La Rappresentante di Lista e Michele Bravi. La prima, introdotta da Ornella Muti che in eurovisione pronuncia il distico “scena indie” (e può anche finire così), ha preso in prestito l’intro da “Tom’s diner” di Suzanne Vega: solo che il vero Jovanotti è qua, “con le mani / con i piedi”, groove poliritmico anche dispari, teatrale come sempre. “Ciao ciao” è la cosa migliore passata in metà gara, seguita a ruota da Michele Bravi, look Velvet Goldmine blended The Crow: “Inverno dei fiori” è un testo di Cheope (il figlio di Mogol) e la musica di Federica Abbate, una brava. Il suo interprete, dalla voce rotta e androgina, le dona corpo e intensità sopra le aspettative: già non è male, crescerà coi giorni.

Arriva l’atteso momento dei Måneskin (nessuno li pronuncia come si deve, alla danese), accolti come i Duran Duran nell’èra Baudo: “Non spingete, Simon le Bon è già a Nizza” potrebbe dire Amadeus da un momento all’altro. Invece “sul tetto del mondo ci sono quattro ragazzi italiani”, uno ha in mente la staffetta olimpica 4x100 e il fatto che ospiti internazionali a Sanremo non ne arrivano più già da un po’. Al riffone micidiale di “Zitti e buoni” l’audience salta per aria: almeno quella parte che non li sta riprendendo col telefono (“la gente purtroppo parla, non sa di che cosa parla”). Damiano e i suoi tornano più tardi per eseguire la ballad “Coraline”, quando imperavano i lentoni dei Guns’n’Roses e dei Metallica: non si risparmiano, non fanno finta, suonano fino all’ultimo, macchine da spettacolo.

 

Piazzare in scaletta la classicità di Massimo Ranieri dopo una tale profusione di forza serve come il sorbetto al termine di una scorpacciata: impostato un po’ Fossati un po’ Modugno (ma anche “Cinque giorni” di Zarrillo), le guance scavate preparano l’acuto che vale sempre la candela. Con quella voce può dire ciò che vuole, certo, ma anche la sua “Lettera al di là del mare” è tra le meno convincenti: e spiace, con riconoscenza, pensando alle hit immortali di trenta e cinquant’anni fa.

 

Spazio ai favoriti della vigilia, Mahmood e Blanco in cappa trasparente. Il vincitore del 2019 è divisivo come un quirinabile (e qui, sia chiaro, non piace. In primis per la voce), il diciottenne exploit dell’anno pare uscito dalla reunion dei Menudo: una gara tra toni alti, “ti vorrei rubare un cielo di perle” potrebbe essere l’asso di briscola, Blanco supera bene la prova dello special ma – non fossimo in questa Italia che si accontenta – per vincere bene dovrebbe servire qualcosa di più. Questo è un rigore al VAR, manco tanto limpido.

La curva discendente, interrotta dal battimani instant classic dei marinaretti Colapesce e Dimartino, vede Ana Mena vestita da caramella Rossana: languida latina, sentore di “Amandoti” e baci d’amore appassionati, si spera in Capossela ma si finisce al chiringuito Bahia, area Lamborghini. E non è manco colpa sua. Per converso Rkomi scende dalla moto in passamontagna, scia rock-rap innocua e col dannato autotune: canta “Insuperabile” e tutti pensano al tonno, o a Giò di Tonno. Rkomi? Tostopiut nimoano, per ora.

Due minuti in là, l’Italia passiva scopre Dargen d’Amico con tredici anni di ritardo: addobbato da pugno nell’occhio, parte in cassa dritta e finalmente c’è qualcosa di cantabile, con flow e costrutto. Tra echi di Camerini e la vecchia dello Stato Sociale, “Dove si balla” piacerebbe a Battiato quando incrocia “gli incubi mediterranei”: il suo centro di gravità permanente è in quota Gabbani, la classifica già lo premia e le radio seguiranno. Lo stesso probabilmente non si può dire di Giusy “provaci ancora” Ferreri, in quota se stessa: “Miele” si regge sopra due note in croce, la donna col megafono evoca Rosa Balistreri, ma solo ulteriori ascolti potranno farla riconsiderare.

 

L’Ariston diventa una pista con i Meduza: e mandiamoli in pensione i direttori artistici, se il tributo a Battiato arriva solo a mezzanotte e quaranta e non in apertura. Commovente tuttavia la proiezione della Cura, forse il modo migliore per evitare pessime cover.

 

All’1.15 la mezza classifica provvisoria: davanti Mahmood e Blanco, insegue La Rappresentante di Lista, completa Jacopo Dargen d’argento d’Amico. A ridosso i due grandi vecchi, quindi i pentaletterati Noemi, Bravi, Rkomi, Lauro, Giusy, Yuman, e la giovane spagnola promossa da Rocco Hunt. La prima è andata: basteranno dosaggi più sensati di ritmo per tenere botta anche oggi, al primo screening degli altri dodici brani in gara.

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