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Finita la maratona Mentana, tocca alla maratona Amadeus. È tempo di Festival di Sanremo

Enrico Veronese

Dopo quella del Quirinale ecco la nuova saga popolare italiana. Il teatro Ariston monopolizzerà l'attenzione collettiva da martedì 1 a sabato 5 febbraio

“Buonasera, signore e signori. Fuori gli attori, vi conviene stare zitti e buoni”. Se fosse piccato come il Napolitano del 2013, Sergio Mattarella potrebbe esordire così, giovedì in Parlamento, citando i Måneskin: conclusa la settimana quirinalizia e la relativa maratona Mentana, il paese bisognoso di una nuova saga popolare si tuffa infatti nella maratona Amadeus, i cinque giorni del festival di Sanremo, monopolio dell’attenzione collettiva ben al di là dei motivi strettamente artistici.

Da martedì 1° febbraio a sabato 5 i gruppi d’ascolto reali e virtuali, gli account satirici a caccia di meme e gli spifferi dalla sala stampa prenderanno il posto dell’”acquario” della Camera, delle dichiarazioni girevoli a tutte le ore e le reti, del circo mediatico all’uscita dal Nazareno. Con tanti sospiri di sollievo perché l’elezione presidenziale si è conclusa giusto in tempo, altrimenti il corto circuito tra i due massimi eventi sarebbe stato completo: ma senza che il cambio della guardia sia traumatico, anzi più che mai un dolce e anestetico declivio. Non sono forse andati al presentatore Amedeo Sebastiani, correttamente scritto, tre dei suffragi alle prime due chiamate di Montecitorio, per mano scherzosa di qualche peones o figlio di Bubba?

 

Che tra le canzoni dei fiori e le rose dei nomi vi sia più di qualche addentellato, non lo si scorge solo dalla gerontocrazia sicura cui affidarsi nelle notti di nebbia: il gioviale Gianni Morandi, che ha solo tre anni meno del rieletto presidente, può mettere d’accordo tutti come il concittadino Pierferdinando Casini, mentre l’ex europarlamentare Iva Zanicchi è pronta a telefonare a tutti per essere votata, degna epigona della sua compagna di partito Elisabetta Casellati. Se l’elezione diretta del capo dello Stato - cui aspira l’arco che passa da Matteo Renzi e arriva fino a Giorgia Meloni - altro non sarebbe, con questi chiari di luna, che un televoto attraverso le storiche schedine del Totip, sono proprio i carneadi alla prima legislatura sanremese, nel segreto dell’urna, a perorare e giustificare l’exploit di un Mattarella. Che come i Måneskin impazza nei desideri e negli spot, cannibalizzando l’audience e rendendo pop una forma politica e musicale pesantemente datata: trionfatori a sorpresa della scorsa edizione e acclamati a livello internazionale come forse nessun artista italiano prima di loro, i quattro romani dal nome danese tornano già alla prima serata quali ospiti d’eccezione, voluti da un riconoscente Amadeus per sollevare da subito lo share. Del resto, le magliette col nome di Mattarella scritto utilizzando il logo dei Metallica sono andate a ruba per molto tempo, manca solo un bambolotto con le sue fattezze di nonno canuto per far dormire tranquilli i bambini… Lontani i tempi in cui Bersani (Pier Luigi, non Samuele) andava in platea all’Ariston a beccarsi una razione di fischi: tre anni più tardi la kermesse musicale piombò nel mezzo di innevate elezioni anticipate, vinse Marco Mengoni cantando “mentre il mondo cade a pezzi” sotto i colpi dell’elevato Grillo, protagonista a sua volta di un monologo memorabile dal palco nel 1989.

E se domani il nuovo/vecchio presidente, bontà sua, decidesse per una sera di volare in Liguria e godersi l’occasione seduto al soglio d’onore - tra una Rettore prima donna papabile e Achille Lauro più istituzionalizzato di Luigi di Maio - nessuno troverebbe fuori luogo se facesse le corna metal con le dita, per non capire più dove sta Debord e dove il rock’n’roll.

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