Alle radici di un male estivo, il reggaeton. Ultima vittima: Elettra Lamborghini

Stefano Pistolini

Lista dei tormentoni estivi che non lo sono stati. Nonostante i topless

Orietta Berti, 78. Gianni Morandi, 76. L’articolo potrebbe finire qui. Sopralluogo sul com’è che la tradizione nostrana dei tormentoni estivi languisca e sul perché non vengano più pretesi dagli altoparlanti delle nostre spiagge, dove malinconicamente impazzano i successi del passato. I venerabili Orietta (“Mille”) e Gianni (“L’Allegria”) sono gli unici due titolari di canzoni vagamente assimilabili al concetto di tormentone per il grande caldo. A ben vedere, del resto, la resurrezione di entrambi passa attraverso la lungimiranza di un paio di esperti conoscitori del nostro mercato e degli spiragli in cui ancora si può infilare quel che un tempo si chiamava “45 giri”: Fedez e Jovanotti che, con il concorso rispettivamente di Achille Lauro e di Rick Rubin, hanno progettato il riciclo dei due sempiterni della canzone popolare, sotto forma di stravaganza per far canticchiare i nipotini.

Ma queste sono operazioni filologiche, prodezze analitiche sul principio del riuso, valorizzazione del classicismo canzonettaro, florilegi della cultura del pop che non hanno niente a che vedere col ruspante edonismo e il brutale arrivismo di un tormentone come dio comanda, in linea di massima a opera di carneadi di nazionalità improbabili, di botto proiettati dentro milioni di cuffiette sul bagnasciuga. Qui le cose sono andate male: hanno sparato a salve perfino dei lavori rifiniti come “Movimento Lento” di Annalisa e Federico Rossi (il 50 per cento di Benji e Fede), l’allusiva “Melodia Proibita” di Irama e “Un altro ballo” di Fred De Palma, tutte inevitabilmente spalmate di reggaeton. E qui bisognerebbe aprire una parentesi sul contraddittorio rapporto di tira-e-molla, al limite della sofferenza, tra l’importazione del sound portoricano e il nostro pubblico balneare. Perché quel ritmo piace e lo si lascia correre, ma difficilmente lo si ama e lo si ricorda, operazione indispensabile per assurgere alla qualifica di autentico tormentone estivo (Orietta e Gianni, non è un caso, hanno conquistato i cuori italiani con un twist e un rock’n’roll, mica con le sincopi del perreo, insomma del twerking).

A proposito di twerking, dobbiamo ammettere d’avere ancora una volta sbagliato un pronostico: avevamo puntato tutto su “Pistolero”, il brano di Elettra Lamborghini scritto per spopolare sulle nostre riviere e attrezzato con le prerogative musicali da salon capelli per signora, per vederlo invece galleggiare tristemente in tredicesima posizione della Hit Parade, e pure in discesa. Pensare che gli ingredienti sembravano perfetti: performance vocale di livello, videoclip piacione con l’artista in topless (pixelato), che vola nel cielo a cavallo di un enorme pistolone, gorgheggiando un testo memorabile: “Dimmi se sei un uomo vero / Un pistolero / Sai già dove mirare, amore criminale / Mi chiami e non rispondo su FaceTime / Ho un bikini solo per te / Ma non mando foto in Direct / Non faccio mai la fila per il club / Ti raggiungo dentro al privé / Ma tu parli solo di te / Hai castelli di carte di credito”. Diciamo che, in pochi versi, gli autori – Spigaroli, Scapuzzo, Al Kaseem – hanno saputo sbatterci dentro tutto, edonismo ed elitarismo, mondo social e vita notturna, femminismo, antifemminismo, maschilismo e pure un po’ di gangsta. Invece niente: la solita maledizione del reggaeton che frega, e “Pistolero” non ce l’ha fatta, sebbene i commenti in arrivo dalla patria di questo suono siano eclatanti – “Regueton italiano? No pensé que existiera, suena bien” scrive Magocybernetico su YouTube, “Estamos de acuerdo en que todos amamos a Eletra” gli ribatte Ester.

Non è bastato, come d’altronde non è andato in buca il masochismo zeppelinista dei Maneskin di “I wanna be your Slave”. Il citazionismo non paga, è ora di capirlo. Perciò, unici a consolarsi e dunque trionfatori dell’estate, diventano i misteriosi Goodboys, ovvero delle vecchie pellacce di producer britannici, titolari di tante superhits senza volto (2,5 miliardi di streaming), che hanno riciclato un pezzo addirittura del 1959 di Caterina Valente (la voce è la sua dell’epoca. Lei è viva e vegeta a 90 anni): “Bongo Cha Cha Cha”, basato su un ritornello da 12 secondi (“Bongo la / Bongo cha cha cha / parlami del Sud America”) preciso a misura per un balletto su Tik Tok. Dove infatti ha spopolato nella versione di milioni di adolescenti di ogni nazionalità, nonché di Federica Pellegrini e della influencer emergente Emily Pallini (700 mila follower su TT e una tormentata storia d’amore con un ballerino di “Amici”. Non chiedete altro).

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