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Una vita piena di ripartenze. Chiacchierata con Gianni Morandi

Giuseppe De Filippi

L’incidente e la canzone di Jovanotti, che ha scelto lui perché ha la faccia giusta per “L’allegria”. L’entusiasmo del ragazzo degli anni 60, l’ottimismo di oggi (grazie Draghi, grazie Mattarella)

Ciao Gianni, “ciao Giuseppe”, con Gianni Morandi si entra subito in un dialogo diretto, un po’ irretiti dalla sua capacità di essere amichevole, confidenziale, talmente messi a proprio agio da essere quasi sorpresi. Incombe, però, in questa chiacchierata, non tanto per etichetta, ma proprio perché se l’è passata brutta dopo essere scivolato nelle stoppie che bruciavano in giardino, un accertamento sulle sue condizioni generali. “Eh, sono passati tre mesi e mezzo dall’incidente, di cui un mese di ospedale, però le ustioni hanno tempi lunghissimi e soprattutto la mano destra è in grossa difficoltà perché l’articolazione ancora non c’è, sta ricrescendo la pelle nuova ma è un processo graduale, perché le cicatrici poi si riaprono, e insomma, dai, è tutta una lagna terribile”. Gli racconto, come si fa sempre in questi casi andando alla ricerca di precedenti da cui trarre indicazioni, che anni fa successe qualcosa di simile a mia nonna, in casa. “Ecco – dice subito partecipe della mia disavventura familiare – allora capisci, perché spesso la gente non sa che le ustioni hanno tempi così lunghi”. 

Si è informato, come succede alle persone intelligenti quando devono razionalizzare una brutta esperienza, e mi dice, con precisione, che il 50 per cento sono incidenti domestici. Spiega che si parla, per il suo recupero pieno, di mesi ancora, ma, dice, “un po’ di attività la faccio”, intendendo attività artistica, “non potrò suonare la chitarra, sarà difficile fare concerti molto lunghi, ma insomma un po’ di cose ricomincio a farle”. Ma tu sei un campione dell’ottimismo, gli dico, e com’è essere stato uno degli artisti, dei personaggi pubblici, che hanno diffuso entusiasmo nel paese negli anni Sessanta e provare a farlo anche ora, nelle condizioni speciali di questi giorni? “Ma, sai, allora c’era quel clima straordinario in Italia, in cui si cominciava a vedere qualcosa di positivo, l’economia cominciava ad andare meglio, compravamo la 500, compravamo i frigoriferi, le prime televisioni. Insomma, tutto il movimento dei Sessanta che poi, però ebbe quella brusca frenata nel decennio successivo”.

E tu sei stato sempre dentro ai tempi che cambiavano, quasi come esempio, anche con le tue scelte personali, col modo di essere. Anche con la decisione di uscire un po’ dalle scene negli anni Settanta e rimetterti a studiare musica e poi saper interpretare, dopo, un’epoca diversa, con un entusiasmo più temperato ma sempre guardando avanti. “Sì – dice, cercando di schivare anche il lontano sospetto che gli si volesse attribuire un ruolo di guida delle masse – ma sono cose in cui uno ci si trova in mezzo, non è che sono stato consapevolmente quello che dice ora vi spiego io come si fa, ero lì, ero testimone, ero uno di quei ragazzi entusiasti, sempre col sorriso sulle labbra, perché la vita ci sorrideva, cantavo canzoni allegre, brillanti, che rimandano molto a quell’epoca, con tutti i nomi che conoscete, io mi son trovato lì, avevo diciassette anni quando ho fatto il primo disco e oggi mi ritrovo, sì, con voglia di ripartenza, perché abbiamo passato un anno e mezzo piuttosto brutto”.

Proviamo, a proposito di capacità di rimettere le cose in movimento, un altro sguardo ai momenti della sua vita artistica e perciò pubblica, con il ritorno in primo piano negli anni Ottanta, e va subito dove volevamo portarlo, con una bella smentita a un modo di dire proverbiale. “La mia vita è piena di ripartenze, ad esempio negli Ottanta per me il treno passa un’altra volta, mi ritrovo lì e prendo quel treno, poi esco con canzoni che tendono a mettere in vista il mio carattere, che è quello di combattere, di guardare avanti, cose come ‘Uno su mille ce la fa’ o ‘Si può dare di più’ e adesso un’altra ripartenza, questa molto imprevista, perché fino a 15 giorni fa questa canzone appena uscita, ‘L’allegria’, non esisteva, cioè era solo nella testa di Jovanotti, che aveva questo pezzo e che forse pensava di farlo lui, con un arrangiamento già pronto di Rick Rubin, pensato per lui, e, invece, Jovanotti mi ha chiamato e mi ha detto: senti ho un’idea, ho questo pezzo, lo vorrei fare io ma è meglio affidarlo a te perché hai la faccia più giusta per dire queste cose in questo momento. Ho sentito che era un pezzo un po’ diverso dai miei, con delle sonorità diverse, necessità di adattamento a una metrica musicale per me non abituale, ovviamente era una cosa molto da Jovanotti, però mi è piaciuto molto e allora lui mi dice facciamolo subito, eh, ma quando subito? e la risposta è stata: domani, al massimo dopodomani. E io, appunto, due giorni dopo ero a Milano a registrare, un po’ preso in contropiede mentre lui già pensava a mandarlo alle radio, lui è travolgente col suo entusiasmo”. Sì, ne hai trovato uno più ottimista di te? “E be’, io penso positivo, sono un ragazzo fortunato, è uno sempre travolgente e propositivo. Questo pezzo è stato un regalo bellissimo, nella mia vita ho avuto tante fortune e ci aggiungo anche questa canzone, perché mi dà la possibilità dopo due o tre anni senza incidere, di ripresentarmi al pubblico, in questa maniera e in questo momento così caratterizzato, davanti a questo squarcio di speranza che abbiamo davanti. Era proprio nel suo tempo, nel suo momento, questa canzone”.

Che poi, gli dico, pensando a tanti successi del passato, tu sei un artista che ha sempre saputo lavorare in gruppo, valorizzare le collaborazioni. “Il discorso del gruppo, dell’insieme, mi piace molto. Mi piaceva anche il gruppo della nazionale cantanti, che produsse anche tante cose, per esempio andammo a Sanremo e vincemmo, Ruggeri, Tozzi e io, e poi tornai in classifica in un pezzo con Amii Stewart, e poi con Lucio (Dalla ndr) dopo aver parlato per tanto tempo di fare qualcosa insieme partimmo con una tournée durata due anni che ci ha portato in tutto il mondo. Una grande collaborazione tra due mondi musicali molto diversi, uniti noi da un’amicizia profonda e dalle radici emiliane. Direi che la seconda parte della mia carriera, molto diversa dalla prima, mi ha portato tante cose fatte in collaborazione, le fiction televisive, la conduzione di Sanremo, farne il direttore artistico, lavorare con Lucio, con Adriano (Celentano ndr), fare uno stupendo tour con Baglioni, per arrivare a Rovazzi tre anni fa”. 

Sei l’uomo-squadra della musica italiana? “Mi piace il gioco di squadra e non sono invidioso, ci sono capocomici teatrali che vogliono primeggiare e la compagnia deve sottostare, io invece sono convinto che più persone sono forti in un gruppo e più ci guadagnano tutti. Baglioni era più forte di me come autore e io pensavo di essere più forte come interprete, e invece non era vero. Lucio si sa chi era, una macchina straordinaria da palcoscenico e se voleva cantare non ce n’era per nessuno. A me piace giocare in squadra, fare anche il gregario a volte, altre volte il protagonista, magari ti passano la palla e fai gol, altre volte sei tu che lavori per il gruppo”. 

Nell’“Allegria” il verso ricorrente dice “ci vuole quello che ci vuole, quello che ci vuole”, una ripetizione per dare significato, come quella di Gertrude Stein per la rosa, insomma, per dire che sappiamo quello che si deve fare per rimetterci in movimento, per far ripartire questo paese. “Eh, una buona dose di ottimismo serve e poi serve anche che ci sia un po’ di senso dell’interesse collettivo anche da parte dei partiti, che in un partito ci siano 8, 9, 10 correnti, che in un partito si pensi a sé stessi, con una piccola prospettiva, e non si guardi al bene collettivo è una cosa che ci danneggia. Adesso abbiamo questo ombrello di Mario Draghi che ci sta proteggendo, nel senso che li lascia parlare e poi prende le decisioni e credo che sia bravo. Io spero che vada avanti il più possibile. I partiti sono sempre in campagna elettorale e non vedono il lungo termine, ma forse dovremmo un po’ cambiare, adesso abbiamo un momento di speranza, in cui si può uscire dalla crisi, riprendere la crescita economica, riaprire il turismo, le attività, far lavorare la gente. Non dobbiamo metterci a litigare adesso, io lo vedevo qui a Bologna con le primarie per il sindaco, con alcuni che sostenevano la Conti e allora gli altri contro perché lei era spinta anche da Renzi. Ma sono cose brutte, fanno danni alla politica”. 

E poi sono tutti lamentosi nella politica italiana, un approccio che proprio non ti appartiene. “Certo, io vorrei altro, adesso ho un po’ di delusione, se ripenso a mio padre e cos’era la politica e la sinistra per lui, vedo che è tutto cambiato. Forse chi parla in modo che può mettere d’accordo tutti è Francesco, il nostro Papa, ma poi anche lui trova sempre qualcuno che gli dà addosso, quelli che gli strillano e allora i migranti se li prendesse lui in Vaticano. Insomma, sono un po’ deluso, vedo che Conte voleva fare qualcosa, poi è arrivato Grillo e ha detto no, si fa come dico io. E Letta cerca di riunire i suoi, ma poi vanno uno da una parte e uno dall’altra. E pure nel centrodestra, anche lì, hanno i loro problemi, tra la federazione, il partito unico, e poi non combinano nulla”.

Torniamo a dare uno sguardo al passato, per contrasto, con quella nostalgia a volte eccessiva ma che funziona sempre. Però Morandi sorprende perché, da militante del Pci di un tempo, non sceglie, oggi, di puntare tutto sul mito berlingueriano, ma, dovendo fare una lista di nomi di valore, elenca “Palmiro Togliatti, Giovanni Amendola, Luigi Longo, Mauro Scoccimarro, Pietro Ingrao”. Insomma, una rosa un po’ demodé ma interessante proprio per questo, e poi aggiunge, pescando fuori dal suo partito, “Alcide De Gasperi, Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, perfino Giorgio Almirante era uno di un altro stampo”. E, invece, nella musica ora ci sono cose buone? “Sì, mi sembra di vivere un momento di grande trasformazione, un po’ come alla fine dei Sessanta, quando arrivarono cantautori e nuove idee dall’America. Lo stiamo un po’ rivivendo adesso, con un grosso numero di artisti che non vanno in tv, se ne fregano delle case discografiche, ma smuovono un pubblico enorme, e questo è un cambio di panorama notevole, è una cosa travolgente, che favorisce una varietà di stili, di proposte. Ci sono i nuovi che ripercorrono la via dei cantautori, come Brunori Sas, Diodato o anche Tommaso Paradiso e vari altri, e poi un filone molto varie che prende le mosse dai vecchi rapper e poi trova nuove strade, come Sfera Ebbasta, come Ernia, ti potrei fare cinquanta nomi, ma magari non li conosci nemmeno, tutti molto bravi, con idee e un linguaggio”. Ascolti che Morandi, diplomato al conservatorio in contrabbasso, alterna con l’amato Bach. “In Conservatorio – racconta con il solito understatement – non è che sono diventato un musicista, ma ho respirato la grande musica e qualcosa rimane, penso che l’assoluto sia Bach, al quale aggiungo tantissimi altri autori classici e lirici e tanto altro. Io ascolto tutto, perché vado a caccia delle idee dentro alle espressioni musicali”.

Tu sei stato anche interprete di serie, di fiction, come vedi questa fase produttiva? “Noi italiani siamo forti in quell’ambito lì, certo, tra le serie americane però ci sono di quelle impareggiabili. Durante la pandemia non volevo vedere il Trono di Spade, poi ne ho visto una puntata e dopo le ho viste tutte, e poi ‘Breaking Bad’ e ‘La regina degli scacchi’, ‘Downton Abbey’ e tante altre, adesso sto vedendo ‘Suits’, quella degli avvocati, e quelle italiane: ho visto ‘Gomorra’ e altre, con tutti quei mesi chiusi in casa”.

Ancora da ‘L’allegria’, un altro verso dice che ci vuole un’azione che riapra la partita. “Sai, parliamo tanto di schemi, poi arriva un campione, ne dribbla tre, segna e risolve. Be’, abbiamo avuto delle tremende ferite collettive in questi diciotto mesi. Questa azione che riapre la partita ora serve e spero che la lascino fare al nostro presidente, anzi ai nostri presidenti, perché sono in due, Sergio Mattarella e Mario Draghi, ci vuole il dribbling, la giocata, che rimette tutto in movimento, con il nostro turismo, la nostra bellezza, le nostre idee, nuovamente nel mondo e aperti al mondo e poi, per stare proprio all’oggi, ci sono anche gli Europei, e speriamo che questa canzone ci porti fino a Wembley”. 

Ma è vero che Jovanotti, con ‘L’allegria’, voleva citare Ungaretti e metterlo proprio in copertina? “Sì, ci ha pensato, me ne ha parlato, poi ci ha ragionato meglio ed è sembrato troppo anche a lui”. Be’, grazie Gianni, “grazie a te, Giuseppe…”. “De Filippi, come Maria, ma non siamo parenti”. “Ah, vedi, ciao De Filippi”. 

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