Vertigo. Mercoledì 24 gennaio, maison Valentino fa sfilare la collezione couture estate 2024 nel “salon” di Place Vendˆome.

Il foglio della moda

Trame sottili: così i rapporti fra abbigliamento e il potere non sono affatto facili

Fabiana Giacomotti

Nessun governo come quello Meloni ha a cuore la moda e il made in Italy. Qualche dato per riflettere e il caso del gruppo interparlamentare costituito da Fratelli d’Italia e Italia Viva per promuovere un po’ di conoscenza sul tema

Sbaglia chi pensa che il governo Meloni non abbia a cuore la moda e il sistema del Made in Italy. Nessun governo più di questo - ad eccezione forse del primo esecutivo di Matteo Renzi che cercò di mettere ordine nel ginepraio degli individualismi imprenditoriali e della incapacità genetica delle imprese italiane di fare sistema promuovendo, con la nascita di Confindustria Moda e del Tavolo delle associazioni quella attività di lobbying che due settimane fa la scissione dei tessutai di SMI ha mandato a pallino, tempo qualche mese e il progetto nato nel 2017 si disintegrerà, già altre associazioni vogliono lasciare - ha prodotto altrettanti atti, documenti e decreti nel tempo relativamente breve dalla sua nomina. Peccato che tutte queste attività, alle quali si è aggiunto poche ore fa, in apertura del salone Milano Unica organizzato proprio dai secessionisti di SMI, l’annuncio da parte del ministro Adolfo Urso di un nuovo ddl “organico per tecnologia e green”, non abbiano ancora goduto dei necessari riscontri economici, le cosiddette “coperture”, ma nemmeno di un quadro operativo organico.
 

Come testimonia un’analisi redatta da Comin&Partners per “Il Foglio della Moda”, l’impegno promozionale per il settore, a livello nazionale ma anche provinciale e localissimo, è stato molto intenso, ma la concretizzazione, la cosiddetta “messa a terra” per usare la locuzione sportiva più amata di questi ultimi anni, langue, certo non aiutata dal rallentamento attorno di fondi del Pnrr ma d’altro canto nemmeno, è notizia di queste ore, dalla scoperta di un discreto numero di percettori fraudolenti di sovvenzioni nell’area del calzaturiero fermano. L’Italia delle due velocità si dimostra tale anche nella moda: grandi progetti, piccoli particolarismi. Mentre le imprese si strutturano autonomamente ma anche in associazione con il ministero dell’Istruzione per promuovere l’attrattività dei percorsi formativi di alto artigianato presso gli ITS (leggere l’intervento della direttrice generale di Altagamma Stefania Lazzaroni in pagina), il progetto del liceo del Made in Italy non sembra ancora aver trovato una chiara e solida base accademica sulla quale organizzare un percorso di studi adeguato al titolo altisonante.
 

Scorrendo gli atti si trova naturalmente il ddl sul Made in Italy, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 27 dicembre ed entrato in vigore lo scorso 11 gennaio dove, fra il sostegno alle imprese a “prevalente partecipazione femminile” e il supporto alla “filiera del legno per l’arredo e la Filiera delle fibre tessili naturali, spunta un inatteso e inopinato “Fondo ministeriale per la protezione nel mondo delle indicazioni geografiche italiane agricole, alimentari e del vino”, chiara iniziativa del ministro Lollobrigida al quale bisognerebbe spiegare che vino e moda collaborano solo a certe condizioni e che, Franciacorta a parte, il sistema beve prevalentemente tequila perché riduce il livello degli zuccheri nel sangue. Quindi, ecco gli atti ancora in discussione, talvolta non presentati, per esempio un ddl che disciplina le imprese culturali e creative a firma del senatore di FI Mario Occhiuto. Se uno dei crucci dei parlamentari che non conoscono il settore e non ne capiscono la multiformità riguarda il suo inquadramento (industria pura e semplice o industria culturale?), ecco una proposta di legge di Matteo Orfini del Pd volta a delimitarlo “come l’insieme delle attività che hanno per oggetto le opere, i prodotti, i beni e i servizi, a carattere materiale o immateriale, che sono frutto di processi artistici, creativi o culturali”, accompagnato da un “Fondo di garanzia per le micro, piccole e medie imprese del settore creativo e culturale”. Non manca un nuovo ddl per la “tracciabilità dei prodotti in commercio e per il contrasto della contraffazione dei prodotti italiani” (promuove la Lega, evidemment), e seguono tutta una serie di iniziative volte a sostenere le attività politiche locali dei promotori, per esempio a Carpi (contributo previsto di 10 milioni di euro, iter non ancora iniziato).
 

Quindi, dal Senato, arriva una lunga serie di atti presentati e ancora in discussione per crediti di imposta volti al sostegno della ricerca e sviluppo  da Francesco Verducci del Pd (sottoscriviamo, tante pmi non possono permettersi la transizione tecnologica di cui ha parlato l’altro ieri Urso a Milano per mancanza di fondi), un ddl per la tutela e lo sviluppo dell'artigianato “nella sua espressione territoriale, artistica e tradizionale” (perplime quell’insistenza sulla tradizione, che spesso si risolve in botteghe del centrino). E poi c’è quell’esercizio di collaborazione, molto riuscito invece e ne abbiamo le prove avendo verificato come lavora, dell’intergruppo parlamentare per il Made in Italy e per l’Innovazione, nato al Senato a dicembre 2023, su iniziativa del senatore di Fratelli D’Italia Bartolomeo Amidei (membro della IX Commissione “Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare”) e sostenuto dallo stesso Urso con il coordinamento di Fabio Pietrella (FdI) e Ivan Scalfarotto (IV). Una coppia atipica fino a un certo punto: Pietrella, già presidente di Confartigianato Moda e di Confexport, imprenditore del settore, conosce e collabora con Scalfarotto dagli anni in cui Carlo Calenda, alla guida del dicastero di via Veneto, convinse i riottosissimi imprenditori della moda - tessile, abbigliamento e accessori – a riunirsi in un’unica associazione, all’epoca guidata da Claudio Marenzi e a collaborare nelle missioni all’estero usando il più classico ed efficace degli argomenti: i fondi. Nessuno ama sollevare la questione, ma la verità è che non uno dei saloni della moda potrebbe permettersi investimenti e progetti interessanti senza finanziamenti da parte dell’Ice. Con ogni probabilità, tornerebbe ad assumere i tratti provinciali che aveva prima del diktat di Calenda e dell’occhiuta gestione di Scalfarotto.
 

Qualcuno ricorda ancora Annarita Pilotti, nominata due settimane fa presidente di Confindustria Moda dopo l’abbandono forzato di Ercole Botto Poala e all’epoca presidente dei calzaturieri, ricercare agitatissima l’approvazione del ministero per il nuovo design di Micam. Poi, si sa come è andata: da una parte l’accorpamento dell’ICE al ministero degli Esteri per volontà di Luigi Di Maio, che ha privato il ministero delle imprese di uno strumento importante, dall’altra la cronica incapacità dell’imprenditoria italiana, della moda in particolare, di capire che fare sistema, cioè fare politiche di lobby (per sgravi fiscali, aiuti tecnologici, coordinamento dell’export, difesa del copyright, e sono solo pochi esempi), è importante quanto disegnare e vendere una bella collezione o promuovere una campagna sui social con la rockstar del momento. Scalfarotto ritiene ancora gravissimo il progressivo smantellamento di Confindustria Moda, evidente a prescindere dalla dichiarata volontà di collaborazione fra le varie parti, indispensabile che la moda lavori come un sistema industriale compatto e fondamentale che Urso intervenga sulla spaccatura in corso, sebbene sia chiaro che, non avendo aperto bocca sul tema in occasione dell’apertura del salone Milano Unica, promosso dai secessionisti, è improbabile che il ministro lo farà. Dall’altra, c’è Pietrella che non ritiene auspicabile un intervento istituzionale nelle dinamiche fra imprenditori e piuttosto disequilibrato il progetto originario in quanto “troppo incentrato sull’industria e poco sulla filiera”. Entrambi lavorano per spiegare a parlamentari anche volenterosissimi ma privi delle conoscenze di base quale sia la differenza fra la sarta sotto casa e l’atelier di Valentino, benché entrambi cuciano vestiti a mano, ed entrambi vorrebbero capire se vi sia modo di cogliere l’occasione per riorganizzare il settore anche alla luce delle nuove dinamiche, quella della sostenibilità in primo luogo e in particolare della normativa Ue in discussione sul riciclo degli scarti tessili (in questo, l’Italia ha anticipato Bruxelles, che intende introdurla nel 2025). Se le varie correnti saranno in grado di collaborare si vedrà il prossimo 15 aprile, in occasione della prima giornata del Made in Italy, strategicamente piazzata a ridosso dell’apertura della Design Week, quando Milano sarà affollata di compratori e designer internazionali.

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