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i conti

Lvmh ha guidato il lusso mondiale anche nel 2023

Fabiana Giacomotti

Fatturato a 86,2 miliardi di euro, in crescita del 13 per cento. Utili netti a 15 miliardi. Arnault: "Non lascio affatto". E in conferenza distribuisce elogi (Maria Grazia Chiuri) e qualche avvertimento sui creativi "che bisogna guidare"

“Vedo che alcuni di voi sorridono, ma vi assicuro che non ho intenzione di lasciare la mia carica nel prossimo futuro e neanche nel medio”, ironizza Bernard Arnault, facendo girare lo sguardo fra i dirigenti del gruppo, compresi i cinque figli che ormai ricoprono tutti posizioni di responsabilità, seduti in prima fila alla presentazione dei risultati 2023 del gruppo Lvmh, poche ore fa, appena conclusa la sfilata couture di Fendi al Palais Brogniart.

Settantacinque anni, un minimo di grippe che lo porta a tamponarsi il naso molto spesso, nei giorni scorsi Arnault ha nominato ceo della divisione moda Michael Burke, il sodale dai tempi di uno sviluppo immobiliare non troppo fortunato in Florida, alla fine degli Anni Settanta. Imprenditore molto sensibile alla fedeltà nei rapporti e nella gestione, “on est une famille”, siamo una famiglia, sottolinea spesso, accorpando nel concetto tutti i manager di lunga data, l’imprenditore che contende a Elon Musk la prima posizione fra le maggiori fortune mondiali ha premiato ancora una volta Burke, già ceo di Fendi e di Louis Vuitton prima della nomina di Pietro Beccari, ma ha voluto continuare a tenere accanto a sé, come consigliere, il manager che fino a questo momento aveva questa carica, Sidney Toledano.

On est une famille, e le famiglie non si lasciano mai, a prescindere dagli obiettivi sempre più alti che vengono fissati ogni sei mesi e soprattutto quando bisogna serrare le fila in vista di un anno che, a dispetto delle previsioni “molto favorevoli” dichiarate dal fondatore e dal cfo Jean Jacques Guiony, il resto del mercato valuta con una certa apprensione. Per questo motivo, i risultati 2023 e le proiezioni del più grosso conglomerato del lusso mondiale erano particolarmente attesi: nell’anno appena concluso, LVMH ha fatturato 86,2 miliardi di euro, pari a una crescita organica del 13 per cento rispetto al 2022. Tutti i gruppi aziendali hanno registrato una forte crescita organica dei ricavi, ad eccezione della divisione vini e liquori (il coté MH dell’acronimo del gruppo) che, dicono, ha dovuto “far fronte a una base elevata di confronto” e a “livelli di inventario” molto elevati, giustificando quindi gli analisti sentiti da Bloomberg che, pochi giorni fa, ritenevano arrivato il momento per il gruppo di separare le strade di moda e liquori, essendo da troppo tempo la prima divisione penalizzata dalla seconda (un giorno bisognerà analizzare la crescita dei liquori locali ad est, e la nuova mania mondiale per la tequila, che hanno praticamente azzerato le richieste di cognac).

Agli straordinari risultati di bilancio, Europa, Giappone e il resto dell’Asia partecipano tutti, registrando una crescita organica a doppia cifra, benché Guiony segnali come sia stato necessario alzare i prezzi in Giappone per evitare che diventasse una sorta di porto franco per il turismo cinese. Il dato singolare, e particolarmente apprezzabile in un anno che, nel secondo semestre, ha visto diminuire le performance di quasi tutti i competitor di Lvmh, è stato il recupero dei ricavi nel quarto trimestre, con un incremento del dieci per cento. Notevole anche l’utile netto, che ammonta a 15,2 miliardi di euro, in crescita dell’8 per cento. Che Arnault sia soddisfatto è, insomma ovvio ed evidente (“la nostra performance nell’anno trascorso illustra l’eccezionale appeal delle nostre maison e la loro capacità di suscitare desiderio, nonostante un anno segnato dalla congiuntura economica e dalle sfide geopolitiche”), così come nel suo discorso, al quale la stampa viene invitata ad assistere in diretta online, inviando domande giorni prima dell’appuntamento, lasci trasparire la propria scarsissima volontà di dare seguito ai consigli degli analisti: “La nostra crescita incoraggia la nostra strategia, basata sulla natura complementare delle nostre attività, nonché sulla loro diversità geografica”.

Ha parole di elogio specialissime per “Maria Grazia (Chiuri, direttore creativo di Dior, ndr), che lunedì scorso ci ha regalato una sfilata straordinaria” in cui il segno della modernità e dell’eccezionale qualità si sposava “con l’eredità di monsieur Dior”, e mostra una grande apertura di credito nei confronti del percorso di Vuitton nell’abbigliamento. Un percorso ancora in via di sviluppo, avendo la griffe una storia potentissima sì, ma negli accessori, e al quale, temiamo, non abbia giovato granché l’ultima sfilata uomo di Pharrell Williams, pedissequamente ricalcata su un mondo western da fumetto, che perfino la stampa anglosassone ha definito “tacky”, di cattivo gusto (forse sarebbe stato un bene nominare a capo della divisione la giovane e sofisticata Grace Wales Bonner, l’altra finalista, e non un produttore discografico cinquantenne che, oltre alle sfilate “spettacolari”, forse deve intercettare anche il gusto di una clientela evoluta come quella europea e orientale. Dunque, forse, è proprio a Williams che Arnault si riferisce quando osserva che il management è chiamato sì a tutelare e sviluppare il talento, ma anche a indirizzarlo. “Le créateurs, il faut les guider”. Ci si rivede fra sei mesi: nel frattempo, saranno iniziati anche i Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi 2024, di cui Lvmh è partner e “i cui valori fondamentali di passione, inclusione e superare se stessi sono elementi condivisi dal nostro Gruppo. Per LVMH”, osserva, “si tratta di una nuova opportunità per rafforzare la nostra presenza globale e la posizione di leadership nei beni di lusso, promuovendo la reputazione di eccellenza della Francia nel mondo”. Quanto ci piacerebbe sentire unire le stesse parole, impresa-nazione, nel discorso di un imprenditore italiano. 

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