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Il foglio della moda

Il valore politico-sociale dell'arte tessile

Astrid Welter

Consideta a lungo un attività artistica marginale, la textile art sta recuperando terreno e ormai da una decina di anni è sempre più centrale anche nelle grandi  kermesse internazionali, nei musei e nelle esposizioni. Ecco perché

Da una decina d’anni nel mondo dell’arte sta affiorando un interesse per la textile art. Nei musei si organizzano esposizioni tematiche come “Interwoven Globe” nel 2013 dal Metropolitan Museum di New York, si esplorano correnti specifiche come la fiber art degli anni Sessanta presentata nel 2014 all’ICA di Boston, sino alle retrospettive dedicate a pioniere di questa forma d’arte, come Annie Albers, celebrata alla Tate di Londra nel 2019.

 

Anche nelle grandi kermesse dell’arte contemporanea il tessile si sta insinuando, basti pensare alle presenze della leggendaria tessitrice norvegese Hannah Ryggen e dell’italiana Maria Lai nelle ultime due documenta di Kassel. Per la 59. Biennale di Venezia dell’anno scorso, la direttrice Cecilia Alemanni ha scelto numerosi artiste e artisti contemporanei che impiegano questo medium, come le scandinave Charlotte Johannesson e Britta Marakatt-Labba, il sudafricano Igshaan Adams e la cilena Cecilia Vicuña, poi insignita del Leone d’oro alla carriera.

Ma perché la textile art è stata considerata così a lungo la minore delle arti minori? Una delle cause più ovvie della marginalizzazione da cui solo ora sta uscendo ha a che fare con le sue origini: si tratta infatti di una pratica considerata per molto tempo prerogativa delle donne. Di conseguenza venne rilegata alla sfera produttiva domestica, marginalizzata come low art, arte bassa, ed è stata ammessa solo in tempi recenti nel sistema (e nel mercato) dell’arte, lungamente pervasi da strutture patriarcali e maschiliste. Un secondo motivo riguarda lo specifico aspetto sensuale e tattile di questo medium. Mentre l’inarrestabile digitalizzazione delle nostre vite comporta una de-materializzazione delle nostre esperienze, ed un legame sempre di più inestricabile con il mondo virtuale, cresce la voglia di confrontarsi con ciò che rappresenta una relazione tangibile e somatica con il mondo circostante. La materialità tattile dell’arte tessile ci attrae, perché le opere impiegano panni, tele, intrecci, corde e tanti altri materiali, e perché in molti casi è leggibile l’intervento manuale dell’artista.

 

Il terzo motivo riguarda l’abilità delle opere tessili di affrontare urgenti tematiche socio-politiche ed economiche, come l’identità etnica di presunte minoranze, le implicazioni ecologiche del sistema produttivo globalizzato, o l’opposizione tra Nord e Sud globali. L’artista brasiliana Leda Catunda realizza morbide creazioni con tessuti di recupero che definisce soft paintings, ponendo al centro della sua indagine il conflitto tra lo sfruttamento dei lavoratori asiatici nella produzione tessile e l’irresponsabile consumo di massa occidentale. Simile il punto di vista che sottende alla più grande installazione presentata l’anno scorso alla documenta di Kassel, opera del Nest Collective di Nairobi: “Return to Sender” (Ritorno al mittente) è una scultura fatta con tonnellate di rifiuti tessili, che vengono inviati dall’Europa a vari paesi africani, e il cui smaltimento costituisce un enorme problema ecologico. In altri casi, il riciclo diventa valorizzazione, caricandosi di significati emotivi.

 

L’artista afroamericano Rodney McMillian usa indumenti e tessuti domestici provenienti da negozi second-hand della comunità black losangelina, che nelle sue opere si trasformano in vettori di storytelling intergenerazionale e identitario. Nello stesso solco si muove l’artista e attivista di etnia Rom Małgorzata Mirga-Tas che per il Padiglione Polacco all’ultima Biennale ha creato un’installazione monumentale fatta di arazzi patchwork, ispirata agli affreschi nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara. Mirga-Tas ha realizzato gli arazzi con tessuti dismessi provenienti dalla sua comunità, narrando scene della storia e della cultura dei Rom, e intrecciando l’omaggio al Rinascimento italiano con la battaglia contro gli stereotipi e pregiudizi nei loro confronti. Qui il termine dell’upcycling, che fa così tanto tendenza nella moda, si arricchisce di una nuova prospettiva, in cui il riutilizzo va al di là del valore materiale, diventando esperienza ri-materializzata e quindi pratica profondamente empatica.

Astrid Welter, Senior Director Kaufmann Repetto Milano/New York e docente IULM, Milano

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