Un'immagine della sfilata di Gucci

La moda al voto cerca stabilità. E magari un Gentiloni bis

Fabiana Giacomotti

Seconda giornata delle sfilate milanesi. Il Foglio ha interpellato imprenditori e grandi manager della moda. Ecco cosa si aspettano dalle elezioni del 4 marzo 

Countdown. Per le elezioni, e per un sistema moda che chiede “stabilità a ogni costo”, disposto pure ad accettare l’ennesimo “inciucio”, come lo definisce appena sprezzante Michele Norsa, membro del board di Zegna, o le “larghe intese” che è invece la definizione per così dire internazionale di Stefano Sassi, amministratore delegato di Valentino, incrociato alla colossale serata di lancio del nuovo progetto “a stagionalità zero” di Moncler dopo una riorganizzazione industriale e concettuale durata due anni e già premiata dalla Borsa.

 

Claudio Marenzi, patron di Herno ma soprattutto presidente di Confindustria Moda e di Pitti Immagine, cioè l’uomo più vicino di ogni altro al ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda nel sistema moda, nel lungo tragitto a piedi fra viale Mecenate e gli studios di Gucci si lascia sfuggire un endorsement convinto: “Gentiloni bis”, cioè continuità, che è quanto dicono più o meno tutti gli altri imprenditori e grandi manager della moda interpellati dal Foglio in questa seconda giornata di sfilate, compreso lo stesso ceo di Gucci, Marco Bizzarri. “Stabilità” dice a sua volta, cinque minuti prima che il suo direttore creativo Alessandro Michele spinga con ancora maggiore decisione sull’esplorazione dell’identità allestendo una sfilata, ma soprattutto una riflessione, ispirata al “Manifesto Cyborg” di D.J. Haraway.

 

Un'immagine della sfilata di Gucci 

 

L’invito-cronometro recapitato da Gucci, e la ricerca a tratti ossessiva del “meticciato identitario” di Alessandro Michele, fra corna di fauno, cuccioli di draghi e teste che si sdoppiano, simboli di una possibilità emancipatoria che commuove molti e che in molti altri accende semplicemente il desiderio per quelle cagoule bicolori e quelle sneakers cariche di cristalli, rende meglio di ogni altro il clima di attesa che si respira in queste sfilate milanesi.

 

  

La moda cambia e si evolve, ma vuole farlo nella continuità. Mascherata sotto i cappotti ampi delle collezioni autunno-inverno 2018-2019 che si ispirano agli Anni Ottanta ormai decisamente tornati di moda, emerge anche molta nostalgia per l’energia e la classe politica di quegli anni. Nessuno ha dimenticato Tangentopoli, ma nemmeno la Milano da bere, il decennio in cui tutti gli imprenditori della moda di oggi erano già ai vertici della propria o di altre aziende; la scarsa scuola politica di oggi, a partire dai fondamentali dell’economia e della cultura di base fino alla mera educazione formale, il simbolico “saper stare a tavola”, imbarazza un po’ questi manager e questi industriali che, come Alessandro Bastagli, socio di Gianni Versace negli anni del debutto, e da poco proprietario di Shanghai Tang, marchio del lusso dismesso dal gruppo Richemont (Cartier), rimpiangono i “confronti magari accesi, ma civili” di un tempo. “L’inesperienza dei Cinquestelle” lo preoccupa.

 

Eppure, nessuno fra questi uomini e queste donne che governano la seconda voce della bilancia dei pagamenti ipotizza uno scenario diverso da quello della permanenza in Italia. La volontà di rinascita che l’amministratore delegato di Pitti Immagine Raffaello Napoleone definisce “il bello dell’Italia di sempre”, sembra superiore perfino alle miserie della “campagna elettorale più brutta di sempre”, pare volteggiare sopra una pressione fiscale superiore al quaranta per cento, a un costo del lavoro quintuplicato rispetto ai paesi emergenti della Ue.

 

La sfilata di Alberta Ferretti 

 

Tutto sembra faticoso, faticosissimo, eppure tollerabile in nome di quel made in Italy che aiuta a vendere l’immagine di un intero paese e sebbene, come osserva Alberta Ferretti nella sua sede milanese, dove molti anni fa nacque Mediobanca e da dove va preparandosi a vestire le hostess di Alitalia in quelle che saranno, forse, le loro ultime divise di couture italiana, “sarebbe necessaria una maggiore considerazione per chi continua a investire in questo paese, e si dovrebbero offrire condizioni migliori a chi lo fa: com’è possibile che l’Italia sia considerata il paese più desiderabile al mondo per il suo patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, ma che si collochi solo all’ottavo posto fra le mete del turismo mondiale a causa della carenza dei suoi servizi e dei suoi alberghi?”.

 

La sfilata di Alberta Ferretti  

  

Sanno di aver sempre dovuto contare su se stessi, gli imprenditori della moda, scontando anche una malcelata, gelosa antipatia da parte degli altri comparti industriali; gli investimenti e la bienveillance che ha riservato loro Calenda negli ultimi anni, il primo politico a ritenere necessario un sostegno robusto ai settori di successo, e non la distribuzione a pioggia fra tanti semi-fallimenti, li ha per molti versi riavvicinati alla politica. Per questo, non vorrebbero vedersi di nuovo esposti a interlocutori svogliati, distratti, timorosi di ricadute negative di immagine, bizzarro pregiudizio nel quale indulgono solo i politici italiani, mentre l’Inghilterra, da un paio di giorni a questa parte, distribuisce orgogliosa in tutto il mondo l’immagine della Regina Elisabetta II che si alza a fine sfilata per premiare il miglior giovane stilista inglese. “Ho sessantaquattro anni e da quando sono nato ho visto sessantaquattro presidenti del consiglio”, sorride Brunello Cucinelli fra le modelle del suo showroom in centro, velluti morbidissimi e giacche in ciniglia di cashmere tricottato a mano, trenta ore di lavoro per ogni capo. “Che cosa mi aspetto da queste elezioni? L’Italia come sa essere: un bello stato sociale. Credo che verrà trovato un accordo perché siamo un paese di moderati. Ce la faremo ancora una volta. Però, devo osservare che negli ultimi tre anni siamo tornati a essere un paese manifatturiero credibile anche per i mercati finanziari”. Gentiloni bis?

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