Il lato marcio della rottamazione nella Novese

Simonetta Sciandivasci

Tre debuttanti sostituiscono tre veterane e la squadra vince cinque a zero contro il Saluzzo. “Siamo vittime di mobbing sportivo”, hanno dichiarato le ragazze allontanate 

Uno legge dell’impresa della Novese che, ieri, ha sconfitto cinque a zero il Saluzzo con in squadra tre debuttanti tutte sotto i quindici anni, e pensa: accipicchia che buona cosa la rottamazione! Invece, come tutte le storie di rottamazione, anche questa ha il suo lato stronzo. A dirla tutta, infatti, le brave piccine quasi pulcine hanno giocato al posto di tre veterane (Barbara Di Stefano; Romina Draghi; Francesca Lardo), alle quali venerdì sera è stato comunicato che domenica non avrebbero giocato e pure che se volevano vedere la partita avrebbero dovuto comprare il biglietto. Ragioni disciplinari, una questione privata. “Siamo vittime di mobbing sportivo”, hanno dichiarato le ragazze, che hanno avuto la piena solidarietà delle loro compagne. Il crimine loro contestato è il seguente: avrebbero tentato di aumentare gli allenamenti della squadra, scesi a due a settimana.

  

Sul punto, il vice presidente Fossati – che purtroppo non è quello di “io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare” – ha detto che si trattava di un rallentamento temporaneo, utile a far rigenerare la squadra, in accordo anche con Di Stefano e, soprattutto, ha contestato che “le tre pretendevano di riunirsi, allenarsi e comandare senza passare dalla società, ma nel calcio comandano le società e non i giocatori”. Ora, a meno che non si voglia postulare che la logica è un complotto, è piuttosto difficile sostenere che tre atlete che paghino di tasca propria ulteriori allenamenti, facciano qualcosa di diverso dal bene della propria squadra. Che calciatori e calciatrici siano proletari di un Dio minore e dunque, oltre a non essere proprietari delle proprie mutande (in effetti quelle sono spesso di Dolce&Gabbana) e del proprio lavoro, non possano neanche disporre del proprio corpo, noi sceme, di certo, non l’avremmo mai detto. E invece.

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