Allenamento della nazionale inglese. Foto LaPresse/PA

Il cortocircuito del Manchester City sulla parità di genere

Simonetta Sciandivasci

Una pubblicità progresso sostiene che il calcio non è né maschile né femminile. Ma la nomina del nuovo allenatore della nazionale delle donne fa discutere 

Dice il Manchester City, a mezzo pubblicità progresso, che il calcio non è né maschile, né femminile: è calcio e basta (avanguardia!). Lo dice dopo una carrellata di immagini di tifosi/e e calciatori/e così sottotitolate: stesso orgoglio, stessi gol, stessi appassionati, stessi rivali, stessa passione, stesse scarpe, stesso gioco. Siamo tutti troppo giovani o globalizzati o frettolosi per ricordare (sapere?) che è esistito un tempo in cui le femministe non brigavano di hashtag in clippini ispiranti e sbranavano chiunque dichiarasse nulla la differenza tra maschile e femminile, sottolineando che trattavasi di un’operazione svantaggiosa, svilente, persino schiavizzante per le donne. Ma non scomodiamo oltre altre discettazioni teoriche: ricorriamo alla cronaca.

  

Più o meno nelle stesse ore in cui il Manchester City diffondeva il video di cui sopra, la scorsa settimana, le agenzie inglesi battevano la notizia della nomina di Phil Neville a commissario tecnico della Nazionale inglese femminile. Ex difensore (erano i primi anni zero) di Manchester United ed Everton, costui è tristemente noto per essersi così espresso, qualche tempo fa, su Twitter: “Sono tornato rilassato, ho appena picchiato mia moglie”; “non menziono le donne: sono troppo impegnate a preparare il pranzo” ed essersi, naturalmente, ora come allora, scusato per l’esagerazione. Ma che bel cortocircuito. Qualche giocatrice inglese ha espresso disappunto per la promozione del Neville, ma capite bene che in regime di abolizione delle differenze, uno vale uno, maschio vale femmina e bulletto maschilista vale probo femminista. Cosa abbiamo appreso? Che le streghe avevano ragione: quando viene negato che esistano maschile e femminile, c’è sempre puzza di zolfo.

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