Il Foglio del weekend
Alla faccia dei dischi volanti. Chi ritrova la sua adolescenza nei vinili e chi li scopre ora
Magari torna pure la carta stampata!
"Tutto mi sarei aspettato dalla vita tranne che vedere Niccolai in mondovisione”, diceva più di 50 anni fa Manlio Scopigno, osservando il recordman di autogol in tv ai Mondiali di Messico 70 con la maglia azzurra
Tutto ci saremmo aspettati dal futuro immaginato proprio negli anni 70, tranne che in quel futuro sarebbero tornati i dischi in vinile. Ma come? Non dovevano esserci i dischi volanti, il teletrasporto, le videotelefonate (quelle ci sono ma diverse da come le avevamo immaginate), la musica “con altoparlanti in tutta la casa”? La faccio più semplice: ma come? C’è Spotify che con 9 e 90 al mese ho tutta la musica del mondo in tasca e devo spenderne 30 per un album, magari una ristampa, con 10 canzoni? Breve cronistoria della fruizione musicale negli ultimi 50 anni (escludo il 78 giri per questioni anagrafiche mie e immagino del lettore del Foglio, che magari è attempato, ma non così tanto).
In principio fu il 45 giri, comprato per lo più in grandi magazzini tipo la Standa o nei piccoli negozi di elettrodomestici, che già che c’eri ti vendevano pure il mangiadischi, o prima ancora il giradischi a valigia. Decine di milioni di “pezzi” di Celentano, Mina, Gianni Morandi. Un mercato che chi c’era definisce impressionante come numeri. A volte penso che l’unico paragone possibile riguardo a un prodotto così amato dal pubblico giovane sia con le aziende della Silicon Valley. Ogni paese occidentale aveva la sua Apple, la sua Netflix, la sua Facebook-Instagram: erano i cantanti, le case discografiche. Poi qualche cantante iniziò a pubblicare delle raccolte dei suoi più grandi successi a 45 giri in un formato più grande, il 33 giri. Gli album erano semplicemente delle antologie, o poco più. Ma attenzione! Arriva il ’68, sparisce la leggerezza degli anni Sessanta e irrompe il cantautore, che ha voglia di comunicare qualcosa in più; quindi l’album diventa centrale nella discografia mondiale. Una grossa mano al concetto di album lo danno i Beatles che dal 1966 smettono di suonare dal vivo, sfibrati dalle grida e dagli inseguimenti soffocanti delle teenager di tutto il mondo, e si rifugiano in studio per produrre album, non solo raccolte di successi: nascono tra gli altri “Revolver”, “Sgt Pepper”, “Let It Be”. Ecco arrivare la golden age del vinile, gli anni Settanta. Tutte le case anche in Italia hanno un impianto Hi-Fi, con qualche album in bella mostra. Sono lontane le vendite dei 45 giri degli anni Sessanta, ma un album costa di più e forse ha addirittura rilevanza culturale maggiore. I cantautori italiani la fanno da padroni: Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Roberto Vecchioni, Lucio Battisti. Sai che c’è? Mi piace un sacco “Rimmel”, il nuovo di De Gregori! Quasi quasi me lo registro su una cassetta e me lo metto in macchina.
Lo so, sapete tutto, ma vi rinfresco la memoria: dopo la non fortunatissima esperienza dello Stereo 8 (una audiocassetta solo per riproduzione e non per registrazione) la Philips brevetta la cassetta che si può registrare e riprodurre ovunque, prima in automobile poi nel walkman con le cuffiette in testa. E si sono fatti gli anni Ottanta! Certo, due tre anni prima assistiamo a un fenomeno curioso: il ritorno del singolo, ma gigante. Insomma, c’è una canzone sola ma il formato è quello di un 33 giri. Solo che va a 45 giri. Si chiama DISCO MIX, lo usano i disc-jockey (che li possino…) per miscelare, mixare la disco music, quella di John Travolta che ha fatto un film bellissimo: “La febbre del sabato sera”.
Quindi riepiloghiamo: siamo a inizi anni Ottanta. Ci sono stati i 45 giri venduti a trilioni dei Sessanta, gli album dei barbudos cantautori dei Settanta meno venduti ma più costosi per le tasche degli italiani, e le cassette, sia “vergini” che con copertina entrambe di grande tiratura. Gli anni Ottanta rispetto ai Settanta sono anni bui per quanto riguarda la vendita di musica italiana, eccezione fatta per i “nuovi” successi di Vasco Rossi e Franco Battiato, che con “La voce del padrone” batte il record di album più venduto della storia della musica italiana. Per il resto, lo sapete, gli Ottanta sono gli anni di Michael Jackson, Madonna, Duran Duran, Prince. Nasce Radio Deejay, che con qualche rara eccezione, dal 1982 al 1990 non mette una singola canzone cantata in italiano. Ma siamo qui a parlare di vinili! Eccolo il nemico numero uno che a metà decade si staglia all’orizzonte: il COMPACT DISC!
“Ma come? Compri ancora il vinile? Il nuovo di Michael Jackson, ‘Bad’ è tutto elettronico, DEVI avere il compact disc!”. Quindi piano piano l’album in vinile inizia a lasciare il posto al compact disc, tanto che nel 1993 in Italia si smette di stampare il supporto che trent’anni prima aveva sbancato il mercato, il 45 giri. Iniziano addirittura a circolare (senza alcun successo) i mini cd, grandi come una scatola di cerini rotonda, poi con qualche riscontro in più i cd singoli della stessa forma del cd album. Esperimenti naufragati sul nascere: Mini Disc Sony (piccolo supporto digitale registrabile, per un anno addirittura sponsor della Juventus); Dcc Philips, esistito (giuro) dal 1992 al 1996. Era una cassetta con il nastro digitale, idea buona in teoria, ma niente. Come insegnano gli 883, “avrà fatto qualche sgarbo a qualche industria di caffè”. Nel frattempo, la digitalizzazione avanza inesorabile e internet pure, arriva Napster che connette i computer tra di loro e la musica di colpo diventa gratis. Tutta la musica è di tutti. Il mercato crolla. I vinili con i primi anni 2000 non si stampano più, non li vuole più nessuno. Si segnalano per poco tempo delle sacche di resistenza nel mondo dei disc jockey, quindi dei “disco mix” (ricordate?), ma ormai il destino è segnato. Noi pubblico la musica non la vogliamo più pagare, c’è Napster, c’è WinMX. Ci vuole qualche anno, ma si trova il bandolo della matassa, perché “senza la cento lire il juke box non canta”. Gratis? Quale gratis! Come diceva un mio amico cantante italiano: “Scusa, il computer te lo hanno regalato? La connessione? La corrente? Perché l’unico pirla a regalarti la roba devo essere io?”. Apple che nel 2007 ha lanciato l’iPhone inizia a vendere le canzoni a 0,99 cent e gli album a 9,99. Li hai dentro il telefono. Mhh, fammi capire. Come funziona qua? Dov’è il mio disco? Dov’è la copertina? Poi se perdo il telefono perdo “Rimmel” di De Gregori?
L’interregno del possesso seppur digitale delle canzoni dura pochino, perché si arriva ai giorni nostri con la musica liquida: lo streaming. Con 9,90 non ho solo un album, ma ho tutta la musica possibile e immaginabile in mano. Mettiamola così: piuttosto che niente per i cantanti è meglio piuttosto. Un dato molto sommario da addetto ai lavori: ho un piccolo passato di produttore discografico. Nel 1992 su ogni singolo venduto si percepivano mille lire, esclusi i diritti d’autore che potevano più o meno raddoppiare il dovuto. Un buon successo da numero uno in Italia portava a 200 mila copie vendute, per un incasso che oscillava tra i 200 e i 400 milioni di lire. Oggi (tenetevi forte) 200 mila streaming di un brano sul telefonino valgono per la canzone 1.600 euro. Da dividere!
Lo so, non sono valori accostabili tra loro, è cambiato tutto. Ma questi sono i numeri. Piuttosto che niente, meglio piuttosto. Alla faccia dello streaming, della musica liquida, delle innovazioni tecnologiche che si sono succedute più dei governi balneari, ecco qua il rovescio della medaglia: il vinile rimonta, straccia il moribondo cd (non fanno più manco le automobili con la feritoia per i dischi, manco più i computer con lo sportellino) e si staglia come padrone assoluto delle vendite. Si vende poco, ma si vende! Soprattutto tra i ragazzi! Perché c’è qualche quaranta-cinquantenne che ricerca e ritrova la sua adolescenza tra i solchi di un vinile, meglio se originale in buono stato. Ma ci sono migliaia di giovani che risparmiano denaro per avere un feticcio del loro idolo e quel feticcio è il disco in vinile. Epidemie e conflitti permettendo si organizzano presentazioni degli album con la possibilità del “firma copie”. Quasi non importa che il giovane ascoltatore abbia il giradischi a casa, deve avere il vinile di Rkomi o di Harry Styles.
Diverso ma non troppo è il magico mondo delle fiere del vinile. Ogni weekend centinaia di maschi adulti (semplifico) vanno in cerca del pezzo originale che manca alla loro collezione di “vinili giapponesi dei Beatles” o di “Italo disco solo dell’84” (frasi sentite con queste orecchie). Tra questi anziani (chiamiamoli col loro nome) ogni tanto vedi chiome non bianche e fluenti: i giovani! Guarda là, c’è una ragazza! Tutto questo mi lascia sperare in una ciclicità, addirittura (sogno a occhi aperti) in un ritorno della carta stampata. Ecco perché mi è venuto in mente Comunardo Niccolai: tutto mi aspettavo dalla vita tranne che vedere il vinile trionfare negli anni 20 del Duemila. Alla faccia dei dischi volanti.